Andrea D’Agostino, Avvenire 6/8/2010, 6 agosto 2010
DAI CASTELLI ALLE ANDE: ARTISTI ROMANI IN CILE
Dagli Appennini alle Ande: è il viaggio compiuto da 14 grandi pale d’altare dipinte a Roma a metà ’800 e portate in nave fino a Valparaiso, il porto della capitale cilena. Si potrebbe riprendere il titolo del noto racconto di De Amicis a proposito di un’interessante e sconosciuta vicenda svoltasi in parallelo al lungo pontificato di Pio IX (1846 – 1878), che vede lo stesso Papa Mastai Ferretti tra i protagonisti. Vicenda che fa luce su un periodo ancora poco studiato dalla critica d’arte quale l’Ottocento romano, un secolo in cui la Città Eterna è al centro degli scambi artistici in tutto il mondo, fino in Paesi lontani come il Cile. A dipanare questa storia intricata ha provveduto Giovanna Capitelli, professore associato di Storia dell’arte moderna all’Università della Calabria nel suo libro Arte di antico regime. Cultura figurativa a Roma al tempo di Pio IX , in uscita per la collana del Dipartimento di Studi Storico artistici, archeologici e sulla conservazione dell’Università Roma Tre. Dopo lunghe ricerche, la studiosa è giunta a scoprire questo gruppo di dipinti che a tutt’oggi campeggiano lungo le navate laterali della chiesa della Recoleta Dominica di Santiago del Cile: pale di tre metri e mezzo per due, dipinte da Francesco Podesti, Pietro Gagliardi, Francesco Coghetti, Roberto Bompiani. Nomi poco conosciuti al pubblico di oggi, ma che confermano la presenza di uno stile «romano», classicheggiante, in Sudamerica.
Non solo: sempre dall’Italia furono inviate le colonne in marmo, un materiale sconosciuto ai costruttori cileni dell’epoca. «L’idea di rivolgersi agli artisti attivi a Roma per decorare quella chiesa, una delle più antiche di tutta la città – spiega Capitelli – fu del domenicano Domingo Aracena, uno dei principali teologi del Cile del XIX secolo, allora rettore del convento». Il suo intento era chiaro: rendere omaggio al Papa appena eletto, Pio IX. Ed è proprio a questo punto che entra in scena Giovanni Maria Mastai Ferretti, che da giovane, nel 1824, aveva preso parte alla Legazione Muzi, la prima missione pontificia – guidata dall’arcivescovo di Filippi, Giovanni Muzi ad avere messo piede in America Latina.
Per otto mesi, il futuro Papa fu ospite proprio nella Recoleta Dominica di Santiago; al termine del viaggio, scriverà una Breve relazione del viaggio fatto a
Chile , dove racconta del lungo periodo trascorso nella scomoda cella di quel convento domenicano.
«Per questo motivo – continua la studiosa – i Domenicani erano particolarmente legati al pontefice, che molti anni più tardi, al presidente argentino Faustino Domingo Sarmiento, giunto in visita a Roma, dirà di sé: ’ Sono el primer Papa chileno’ ». Le relazioni artistiche
tra Santiago e Roma, però, procedono lentamente. In un primo momento, i domenicani commissionano una statua con la Madonna del Rosario, poi – soddisfatti dell’acquisto – decidono di ricostruire la chiesa della Recoleta che la possa accogliere degnamente e selezionano a Roma un architetto, Eusebio Chelli, perché ne diriga il cantiere. Solo nel 1869 parte la commissione per le pale delle navate laterali.
«Credo che l’intermediario nella scelta dei pittori sia stato proprio Chelli – spiega Capitelli–, che era stato allievo di Luigi Poletti nei restauri della basilica di San Paolo fuori le Mura e che quindi conosceva bene gli artisti chiamati a ridecorarla ». La basilica romana, la più grande per dimensioni dopo San Pietro, era stata infatti devastata dal terribile incendio del 1823: la ricostruzione, durata oltre tre decenni, servirà da modello anche per le chiese costruite successivamente, sia in Italia che all’estero. «Di fatto, la chiesa della Recoleta Dominica è in piccolo una San Paolo fuori le mura cilena – continua la studiosa –. Non a caso, in tutti gli altri cantieri diretti a Santiago da Chelli, che vi si trasferì e vi morì molto dopo, si trovano opere romane dello stesso gruppo di pittori coinvolti nel suo primo, monumentale progetto. La storia dell’arte cilena della seconda metà dell’Ottocento è molto romana, dopo tutto, e i personaggi che vi sono coinvolti sono in larga parte ’pittori e scultori di Pio IX’, artisti a lui legati, da lui protetti nel centinaio di iniziative artistiche che il Pontefice foraggiò, anche utilizzando l’obolo di San Pietro». In quanto a Pio IX, non tornerà più in Sudamerica, anche se continuerà a restare in contatto con i domenicani: dopo la sua elezione al soglio pontificio invierà loro due ritratti, tuttora conservati nella cattedrale di Santiago.
Una curiosità: le nuove architetture all’interno delle chiese della capitale cilena – come l’altare in marmo disegnato da Chelli per la statua della Madonna – segnano un cambiamento non solo stilistico, ma anche «politico», rispetto ai retabli lignei che ricordavano la dominazione spagnola. «Il processo d’indipendenza cilena che ebbe luogo a partire dal primo decennio dell’Ottocento – continua Capitelli – ebbe caratteristiche fortemente anti-spagnole, e dalla metà del secolo si intravede nella decorazione delle chiese cilene un vero e proprio cambio di registro. Dagli altari lignei, dai retabli tardobarocchi, si passa agli altari marmorei, di disegno neoclassico e poi purista; si abbandona la devozione drammatica, compartecipativa tipica della cultura barocca, e si opta per forme più composte della devozione, figurazioni che sollecitano meno l’emotività del fedele e lo coinvolgono intorno a valori intimi, di un culto familiare, più disteso e consolatorio». In sintesi, la ricerca conferma come Roma continui, anche dopo il 1849, ad essere parte di un sistema artistico internazionale che coinvolge anzitutto i Paesi cattolici dove si esporta arte sacra, soprattutto grandi sculture pubbliche: dall’Irlanda a Malta, fino in America Latina. «È incredibile – conclude la studiosa – come tale aspetto sia stato rimosso dal clima post-risorgimentale. È il momento di ricostruirne la storia».