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 2010  agosto 06 Venerdì calendario

CIUDAD JUÀREZ, 142 DONNE UCCISE DALL’INIZIO DEL 2010

Fino a poco tempo fa pensare al Messico significava sognare le piramidi
azteche o, ancora meglio, una vacanza da sogno sul mare di Puerto Escondido.
Ma ora non è più così.
Il volto del Messico è cambiato, in peggio. E il suo simbolo è diventato
Ciudad Juárez, uno di luoghi più pericolosi del mondo per chiunque, a causa
della lotta per il controllo del territorio tra i cartelli della droga, e
per le donne in quanto città tristemente nota per il femminicidio: la
sistematica uccisione di ragazze, bambine o adulte solo per il fatto di
appartenere al genere femminile.
Un fenomeno talmente forte che è stato necessario coniare un termine che lo
definisse - è stata la professoressa Marcela Lagarde a crearlo diversi anni
fa, nota femminista e docente di antropologia all’Università nazionale
autonoma del Messico (Unam) - e che solo dall’inizio del 2010 ha già fatto
142 vittime. Almeno fino all’ora di chiusura di questo giornale. Oggi il
numero potrebbe essere già salito a 145.
Solo nel mese di luglio sono state uccise 25 donne, ma basta andare a
ritroso per scoprire cifre raccapriccianti che aumentano ogni anno. E a
nulla servono i tentativi del governo di riequilibrare la situazione, come
l’annuncio da parte della Procura generale di giustizia del Distretto
Federale (Pgjdf) della creazione di un archivio contenente impronte digitali
e ogni altro indizio che possa aiutare a rintracciare le vittime.
L’iniziativa è nata in seguito alle dure critiche fatte dalla Corte
interamericana dei diritti umani (Cidh) al sistema penale messicano,
colpevole secondo l’organismo di avere tre grandi difetti: «sistematiche
mancanze nei processi d’indagine, attitudine discriminatoria delle autorità
e poca volontà di chiarire i fatti». Quando non sono addirittura le autorità
stesse a contribuire alle violenze e alla morte delle sventurate.
Chi ne parla rischia il sequestro o la morte, per questo le associazioni dei
giornalisti messicani hanno adottato proprio nei giorni scorsi un protocollo
di sicurezza, nello Stato di Chihuahua, dove si trova Ciudad Juárez. Il
testo, non obbligatorio ma consigliato a coloro che si occupano dei narcos -
sono 30 i giornalisti uccisi dal 2006 - prevede fra le altre cose «un
giubbotto antiproiettile e un casco». Inoltre suggerisce di non farsi avanti
sulla scena di un crimine prima dell’arrivo delle forze dell’ordine e di
parcheggiare l’auto a poca distanza, per potersi allontanare rapidamente.
Secono statistiche ufficiali diffuse dalle istituzioni locali, 9 femminicidi
su 10 sono collegati alla criminalità organizzata, mentre il restante 10 per
cento è da imputare alla violenza domestica. Questo significa che nei 28mila
morti causati dalla guerra dei narcos negli ultimi quattro anni - fino a
luglio i dati diffusi parlavano di 24.800 vittime - ci sono anche le donne.
E spesso i loro decessi sono circondati da misteri che intrecciano violenza
e rituali oscuri attribuiti ai narcos, complici anche i segni e le
mutilazioni, spesso simili, sui corpi femminili. Almeno su quelli che
vengono ritrovati, a volte buttati in mezzo al deserto.
Ma come fa notare al Riformista Yazmin García Morales, responsabile
dell’Osservatorio cittadino sui diritti delle donne - organizzazione che fa
capo all’Accademia messicana dei diritti umani (Amdh) - le due cose non
vanno confuse. Perché si rischia di lasciare da parte il fenomeno e
concentrarsi solo sui cartelli della droga. «Oltre al problema dell’impunità
e dell’occultamento delle prove, ora con la guerra tra i narcos si rischia
di deformare la realtà del feminicidio». Che, purtroppo, non è un fenomeno
limitato a Ciudad Juárez.
«Sono stati creati vari organismi a livello nazionale per la tutela e il
controllo sul fenomeno, come la Commissione per la prevenzione e
l’eliminazione della violenza contro le donne - continua García Morales -
perché il feminicidio è sempre più frequente anche in altri Stati
messicani».
Ciò su cui però Yazmin insiste è proprio la confusione con le vittime dei
narcos: «Se viene trovato il corpo di una donna insieme a quelli di due
uomini, verrà conteggiata tra le vittime dei narcos. Quindi il rischio è che
con il tempo il numero delle morte scenda non perché il fenomeno è stato
davvero risolto ma solo perché quelle vittime sono state considerate come
persone uccise per motivi di droga. E invece non è così».