Tonia Mastrobuoni, Il Riformista 5/8/2010, 5 agosto 2010
C’È CHI HA IMPARATO A EVADERE
Una maxioperazione della Guardia di Finanza ha scovato ieri una frode al fisco orchestrata da ben 1200 aziende cinesi in Emilia Romagna che hanno occultato circa 300 milioni di euro all’erario, si sospetta attraverso trucchi suggeriti da commercialisti connazionali che hanno studiato qui. Le aziende, comprando fatture false da altre impese cinesi, sono riuscite a sottrarre 250 milioni al fisco e di evaderne altri 45 solo di Iva in soli due anni. Secondo il comandante regionale delle Fiamme gialle, Domenico Minervini, l’indagine ha messo in luce «il salto di livello della criminalità economica cinese». Che ha diligentemente assimilato gli antichi trucchi di quella italiana.
Non può che venire in mente una frase folgorante sulle tasse di Xu Qiu Lin Lin, detto Giulin, primo imprenditore cinese iscritto a Confindustria. Una piccola storia di successo e di felice assimilazione che proviene da un’altra regione, la Toscana, dove le tensioni tra italiani e cinesi sono notoriamente enorme. Qualche mese fa ha annunciato l’inizio della costruzione di un palazzo di 23 piani a Quanjiao, in una nuova zona di grande espansione industriale, ben collegata e vicino alle metropoli cinesi, che sarà dedicato esclusivamente al Made in Italy.
In un libro uscito due anni fa, “I cinesi non muoiono mai” (Chiarelettere) Raffaele Oriani e Riccardo Staglianò hanno fatto un ritratto strepitoso di questo quarantaquattrenne che ha cominciato facendo il cameriere ed è oggi patron dell’azienda di abbigliamento Giupel con sedici italiani e otto connazionali alle dipendenze. A proposito dell’evasione, Giupel ragionava così: «Io pago tutto quel che c’è da pagare. Ma come fa una ditta piccola, un laboratorio con due-tre persone? È come con i bambini sul treno o in albergo, quando sono davvero piccini non pagano, poi quando crescono sì». Ma il problema è che il 95 per cento delle imprese italiane sono poco propense a crescere.