Antonio Vanuzzo, Il Riformista 3/8/2010, 3 agosto 2010
SENZA INCENTIVI CROLLA LA FIAT
Senza la spinta degli incentivi, il mercato italiano dell’auto stenta a riprendersi. I dati sulle immatricolazioni diffusi ieri sera a contrattazioni chiuse - anticipati ufficiosamente due giorni fa - non lasciano spazio a dubbi: meno 26 per cento a luglio rispetto allo stesso mese del 2009, con le vendite del gruppo Fiat in picchiata a meno 36 per cento anno su anno «in un mercato penalizzato dall’assenza di incentivi», e una quota di mercato che scende sotto il 29 per cento (33,5 per cento 12 mesi fa). Nei primi sette mesi dell’anno, il Lingotto è calato del 9 per cento, in uno scenario in contrazione di un punto e mezzo percentuale sul 2009.
Allargando lo sguardo oltre i confini nazionali, tuttavia, la situazione di Fiat è piuttosto variegata. Nella giornata di ieri, infatti, sono state pubblicate le statistiche sulle immatricolazioni spagnole, francesi e indiane.
Se sulle strade sterrate e trafficatissime dell’Asia meridionale circoleranno molte più 500 rispetto all’anno scorso – le vendita di Fiat India automobiles limited, joint venture con il gruppo Tata, nel primo quadrimestre 2010 è aumentata del 14 per cento – a Madrid il Lingotto, pur non essendo nella top ten dei modelli più venduti, ha messo a segno uno strabiliante più 86 per cento nei primi sette mesi del 2010. Battendo, secondo i numeri dell’Anfac (l’associazione dei costruttori iberica), tutti i concorrenti: Citroen, (più 17 per cento, come Renault), Ford (più 20 per cento), Peugeot (più 32 per cento) e Seat (più 27 per cento) in un luglio negativo, meno 24 per cento sul 2009, ma positivo considerando i primi sette mesi del 2010: più 26,8 per cento.
Continua, invece, il trend negativo al di là delle Alpi: meno 8 per cento anno su anno a luglio 2009, meno sette per cento da inizio 2010, in un contesto negativo - meno 13 per cento - negli ultimi 30 giorni, ma positivo a più 2,8 per cento da inizio anno. Ne confronto con i rivali, sui primi due trimestri dell’anno, Fiat è però in netto svantaggio. Lo dicono i dati della Ccfa, che riunisce i produttori francesi: Peugeot più 6,7 per cento, Renault più 4,8 per cento, Citroen meno 2,2 per cento, Ford meno 2,6 per cento, Opel più 7,4 per cento.
Osservando le cifre, dunque, si notano differenze piuttosto accentuate nell’andamento dei mercati al giro di boa dei piani di stimolo all’economia messi in campo a fine 2008 dagli Stati Ue. Dei quali, al comparto auto (dati Deloitte) sono andati poco più di 1 miliardo di euro per la Francia, 2 miliardi per l’Italia (di cui 1,2 per la rottamazione) e 1 miliardo circa per la Spagna, tutti in scadenza entro l’autunno.
«Sono convinto che gli incentivi siano una risposta di breve termine», spiega al Riformista Giuseppe Berta, esperto di Fiat e ordinario in Storia contemporanea alla Bocconi, che osserva: «in Italia hanno sempre avuto un impatto sulle aspettative ulteriori sui contribuenti, inducendoli ad aspettare migliori condizioni». Concorda con lo storico dell’industria Luca Germano, politologo dell’Università di Trieste: «Ovviamente gli incentivi mantengono il mercato ad un livello più elevato rispetto ai valori reali, ma se vengono messi a disposizione dell’individuo, senza una visione sistemica, possono essere controproducenti». Deprimendo ulteriormente il mercato.
Esattamente un anno fa, oltreoceano, partiva il programma “Cash for clunkers”, in cui il Governo Usa mise sul piatto un finanziamento da 4500 dollari per ogni vettura rottamata. Una misura che arrivò dopo il discusso salvataggio da 60 miliardi di dollari di Chrysler e General Motors, a cui l’amministrazione Bush aveva già concesso un prestito da 25 miliardi di dollari. Quella dell’auto Usa, insomma, è una «good story», come l’ha definita lo stesso presidente Usa nel programma “The View”, andato in onda una settimana fa sulla Abc. Riflette Berta: «Il programma “Cash for clunkers” è intervenuto nel momento peggiore della crisi Usa, quando tutti si strappavano i capelli perché sono state vendute soltanto 10 milioni di auto. Dopo un anno, il volume si è assestato sugli 11 milioni, ma tutte le case di Detroit hanno ripreso a fare utili, nonostante una contrazione del 30 per cento». Come mai? «Il modo di operare di chi ha preso i soldi dallo Stato ha indotto una revisione profonda, cambiando uno stile di gestione vecchio, razionalizzandolo. Oggi c’è molta più attenzione al monitoraggio dei costi e al rapporto con i concessionari».
Tuttavia, come sottolinea Germano, «Per un Governo, un conto è un introito di tipo fiscale derivante dall’Iva sugli incentivi, un altro è concedere prestiti alle aziende come è avvenuto in Francia con Renault o Psa: si tratta di stimoli completamente diversi, che generano effetti diversi». «Il discorso sotteso al dibattito di questi giorni», nota l’esperto, «mi sembra questo: più auto si vendono e più se ne producono. Ciò significa meno cassa integrazione. All’epoca della decisione, da parte di Scajola, di tagliare gli incentivi, Marchionne aveva detto: bene, ora prepariamoci a livelli più elevati di Cig». Salvo svelare la carta serba, aspettando il 2011 per il lancio di nuovi modelli. Il percorso di Fiat post crisi, insomma, non è ancora una «good story».