Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  agosto 06 Venerdì calendario

CON LA "BOHÈMINA" IL POPOLO CINESE IMPARA LA LIRICA


Il dilemma è il golfino. A Shanghai è un’estate singolarmente calda anche per i torridi parametri cinesi. Il Shanghai Daily informa dell’ennesimo record locale: 39,6 gradi ufficiali, con quelli percepiti che sono almeno sei o sette di più, data e sudata la cappa d’umidità (e di smog) che avvolge in permanenza la metropoli. Di conseguenza qualsiasi taxi, albergo, ristorante, negozio o padiglione dell’Expo fa un uso talmente boreale dell’aria condizionata da far rimpiangere quei congelatori compulsivi degli americani. Si passa ogni due per tre dai tropici al Polo ed è tutto un mettere il golfino e togliere il golfino, e su la pashmina (ovviamente taroccata) e giù la pashmina. Inevitabile che tutti siano più o meno raffreddati, il che sarebbe il meno tranne per chi con la gola ci lavora: i solisti di Bohème e i coristi del Regio, alla seconda tappa della tournée asiatica dopo i trionfi giapponesi.
Ora, la lieta novella è che nemmeno l’abuso d’aria condizionata ha potuto fermare i torinesi in Shanghai. Il Grand Theatre varrebbe da solo la visita: sala bella, foyer meraviglioso e vista panoramica su una città pazzesca che sembra uscita dal set di Blade Runner (come sempre, è la realtà che imita la fantasia). Il teatro è attivo da dodici anni e, spiega il suo presidente Zhang Zhe, ci si fa di tutto, concerti, balletto, musical, opera cinese e opera occidentale: 650 recite l’anno spalmate su tre sale. Per il momento, con compagnie ospiti: dopo il Regio arriverà l’Opera di Colonia per la prima locale dell’Anello del Nibelungo, «ma l’opera italiana è più familiare al nostro pubblico». Però sono attive delle scuole di formazione «e presto avremo i nostri complessi stabili». Del resto, la Cina è affamata d’opera: più di venti i teatri attivi, moltissimi quelli in costruzione. Siamo alle solite: se la nostra classe politica, di destra o di sinistra ma sempre miope e soprattutto sorda, capisse una buona volta che formidabile biglietto da visita per l’Italia ha in mano...
Il pubblico, certo, non è ancora fatto di habitué. Dopo la mistica attenzione nipponica, fa effetto questa platea che bisbiglia, parla, ride, mangia e risponde tranquillamente al telefonino. L’esito, però, è lo stesso: applausi ritmati e commozione, perché l’arte altamente lacrimogena di Puccini resta infallibile anche qui e insomma, come insegnava Gianandrea Gavazzeni, alla fine di Bohème non si piange di commozione estetica ma proprio perché Mimì muore. In Giappone era sbarcata la "Bohèmona" di Patroni Griffi con un cast "all star"; qui, per ragioni logistiche, la pratica "Bohèmina" di Guglielminetti, rimontata con garbo da Vittorio Borrelli. E con una fresca coppia di giovani (Erika Grimaldi e Vittorio Terranova) supportata da un eccellente gruppo di bohémiens (Roberto De Candia, Eleonora Buratto, Diego Matamoros e Nicola Ulivieri). Gianandrea Noseda si conferma in stato di grazia; in particolare quando illumina con grande verve i non pochi momenti in cui Bohème diventa una commedia brillante.
Ieri sera, poi, Gala Verdi nella Sala Rossa dell’Expo Center, smodata e smisurata come tutta l’immane esposizione mondiale, globale, universale che la circonda: però destinata a restare mentre quasi tutto il resto verrà smantellato. L’acustica non è cattiva come si poteva temere ma certo neanche ideale; però le finezze che Noseda cava dai consueti sempreVerdi sono sprecate non tanto per l’acustica ma per il pubblico (e non solo quello cinese) che evidentemente sente un concerto classico, o forse un concerto tout court, per la prima volta in vita sua. Però ammettiamolo: dopo l’Allegro modello "arrivano i nostri" della Sinfonia del Nabucco suonato come solo un’orchestra italiana lo suona, verrebbe da dire che beh, i nostri stavolta sono arrivati davvero. Quanto al "Va’ pensiero" offerto come bis, chissà se è ancora il vero Inno nazionale di noi italiani; qui, a sei fusi orari dalla patria sì bella ma, si spera, non ancora perduta, lo sembra sul serio. E c’è chi, fra i metodici clap-clap orientali, "Viva Verdi!" lo urla davvero, come all’inizio di Senso. Si finisce in gloria: oggi, ultima Bohème e poi tutti a casa. Forse stremati, certamente felici.