Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  agosto 06 Venerdì calendario

Quell’immobile non doveva finire ad An - Case, magazzini, box au­to, immobili vari, titoli obbli­gazionari, conti correnti

Quell’immobile non doveva finire ad An - Case, magazzini, box au­to, immobili vari, titoli obbli­gazionari, conti correnti. Ec­cola la dorata eredità Colleo­ni, quella per la quale Anna Maria nel 1997 cambiò testa­mento, nominando Allean­za nazionale sua erede uni­versale, in nome degli ideali per cui era vissuta. Un teso­retto che l’Agenzia delle en­trate, il 23 novembre del 2000, quantificava comples­sivamente in poco più di due miliardi e mezzo (per l’esat­tezza 2.547.129.421) di lire, dei quali 1.794.571.000 era il valore dei beni destinati ad An. Una stima paurosamen­te per difetto: ettari di terreni divenuti edificabili veniva­no indicati ancora come «canneto» o «seminativo», e iscritti nell’attivo ereditario per pochi spiccioli, e case di prestigio nel centro di Roma si ritrovavano messe a bilan­cio per il loro valore catasta­le. Così, la stessa Agenzia del­le entrate, quattro anni più tardi rifà un po’ di conti e ag­giusta il tiro. E in un «avviso di rettifica e liquidazione del­la maggiore imposta » aggior­na il valore totale della quota ereditaria di An a 8.324.464.273 di lire, ossia circa 4,3 milioni di euro. Sti­ma comunque per difetto, ol­tre che risalente a sei anni fa. Quanto ai singoli «doni» dell’eredità che Anna Maria Colleoni voleva devolvere, dopo la sua scomparsa, alla «giusta battaglia», l’elenco nella dichiarazione di suc­cessione, che porta la firma di Francesco Pontone, «estraneo erede» per grado di parentela o affinità, ma presente nel documento in quanto rappresentante di An, è lungo. Ci sono le proprietà di Monterotondo, il paese in provincia di Roma dove la Colleoni aveva una tenuta. E dunque ecco l’abitazione di sette vani catastali e mezzo più cantina in via Gramsci, 53, completata da un box au­to che con i suoi 27 metri qua­dr­ati non ha molto da invidia­re quanto a spazio a certi mo­nolocali. E poi i terreni. C’è un canneto di 0,15 ettari, mezz’ettaro di seminativo, un «fabbricato rurale perico­lante » di 250 metri quadri (iscritto con valore zero), un altro seminativo di 1,2 ettari, un frutteto di mille metri qua­drati, mezzo ettaro abbon­da­nte di vigneto e un altro ap­pezzamento di seminativo. Complessivamente, oltre 2,5 ettari. Che, e non è certo un particolare, sono nel frattem­po divenuti terreni edificabi­li, il che ha fatto schizzare al­le stelle il valore dei fondi. Tornando a Roma, ecco il «gioiello». In una palazzina di inizio ‘900 al civico 40 di via Giovanni Paisiello, a due passi da Villa Borghese, una residenza di 12 vani, iscritto a catasto in classe 4, la più al­ta, con cantina e soffitta al se­sto piano, più box auto di 13 metri quadri, che persino nel 2000 aveva un valore cata­stale di 55 milioni di lire. Que­sta casa era la «rendita» della signora Colleoni, che con quello che incassava dall’af­fitto dell’appartamento di via Paisiello poteva mantene­re il suo tenore di vita. Anche la sua casa romana di resi­denza è finita nel patrimonio di Alleanza nazionale. Un ap­partamento di 3,5 vani cata­stali in viale Somalia, 215/A, al terzo piano. E il «portafogli immobiliare» trasferito al partito di via della Scrofa si completa con un apparta­mento a Ostia, in via dei Pro­montori, 50. Quattro vani e mezzo, questi, venduti poi da Alleanza nazionale nel marzo del 2003. Anche la ca­sa di viale Somalia è stata alie­nata dal partito di Fini poco dopo esserne entrato in pos­sesso, a novembre del 2002. E l’appartamento da sogno in via Paisiello? Non risulta­no atti di compravendita. Quella casa nel cuore dei Pa­rioli sarebbe ancora disabita­ta e sfitta, un bello spreco considerando che era il «ban­comat » della Colleoni. Ma non è il solo mistero di questa eredità. L’elenco è fi­nito, eppure manca qualco­sa. Ossia la casa dalla quale tutto l’affaire della donazio­ne Colleoni per la «buona battaglia» è cominciato, quella al civico 14 di Boule­vard Princesse Charlotte, a Montecarlo, nel Principato di Monaco. Non v’è traccia del quartieri­no in Costa Azzurra nella di­chiarazione di successione né nell’avviso di rettifica, e la casa composta da salone, due camere, cucina, bagno e balcone non è nemmeno ci­tata nel testamento olografo con il quale la simpatizzante di An decise di lasciare tutto al «suo» partito. In realtà, infatti, quando la si­gnorina Colleoni nel 1962 de­cise di investire in quell’im­mobile, non registrò la nuo­va proprietà in Italia. E, di conseguenza, non scrisse da nessuna parte che la sua ca­setta monegasca dovesse fi­nire ad An. Morta la discendente del condottiero, però, il fatto che la donna aveva un punto d’appoggio a Montecarlo giunse alle orecchie del «par­tito- erede», ma tramite terzi. Qualcuno avvisò i tesorieri che il patrimonio aveva una ciliegina sulla torta. E quan­do dopo l’apertura del testa­mento An chiese conferma dell’esistenza di quella casa agli altri aventi diritto, otten­ne una risposta positiva. Così l’appartamento dove ora abita, in affitto, il fratello di Elisabetta Tulliani, compa­gna di Gianfranco Fini, finì nella cassa di via della Scrofa anche se la Colleoni non l’aveva detto da nessuna par­te. Potenza della nomina ad erede universale. Il resto del­la storia è noto. Anni di «so­pralluoghi » e di offerte di ac­quisto cadute nel vuoto. Poi quella strana transazione «caraibica», con l’apparta­mento venduto per un quin­to del suo valore a una finan­ziaria off-shore , che a sua vol­ta lo rivende, due mesi dopo, a una finanziaria gemella. Che lo affitta a Giancarlo Tul­liani. Mentre il vero nuovo proprietario della casa, l’uo­mo che si è assicurato un tet­to a Montecarlo per il prezzo di un appartamentino alla periferia di Roma, resta na­scosto, protetto dal gioco di scatole cinesi che chissà chi ha architettato per perfezio­nare la compravendita. Di una casa che tutti i protagoni­sti di sponda ex An descrivo­no, praticamente, come un rudere. «Rischio di settice­mia », «ridotta malissimo». Eppure non si trattava di un appartamento abbandona­to dal Dopoguerra. La signo­rina Colleoni ci era stata in vacanza, l’ultima volta, per la Pasqua del 1999. Due mesi dopo lei passò a miglior vita. E la casa derelitta ma, pare, molto ambita, passò di ma­no in mano. Finendo nella di­sponibilità del «cognato» di Fini.