Antonio Sanfrancesco, Libero 6/8/2010, 6 agosto 2010
IL PAESE DEI RANDAGI
Di giorno preferiscono l’ombra della pineta o il sole della spiaggia. La sera invece gironzolano nelle strade, nei parchi oppure si concedono una passeggiata sul lungomare. Sono tantissimi e si muovono sempre in gruppo, da malcapitati compagni di sventura.
«Sarà l’aria del mare che li attira qui così numerosi», chiosa ironico Francesco Lupoli, vicesindaco e assessore all’ecologia e all’ambiente di Pulsano, in provincia di Taranto. I turisti che arrivano in città, in effetti, rimangono sbalorditi non solo dal mare, che da queste parti regala scenari mozzafiato, ma anche dal gran numero di cani randagi abbandonati per le strade. «Mai vista una cosa simile», è lo sfogo di tanti, sui blog, dopo essere tornati a casa. Lupoli, che fa parte di una giunta di centrodestra, si fa serio e cerca di spiegare. «I turisti», dice, «fanno bene a lamentarsi, il randagismo è ormai un’emergenza che non può essere risolta dal singolo comune ma dalla Provincia e dalla Regione. Occorre un coordinamento tra enti. E poi c’è la questione canili: su 29 comuni della provincia, solo otto dispongono di un canile sanitario».
LA STERILIZZAZIONE
Quei pochi che ci sono, peraltro, sono in sovraffollamento oppure sono privi di autorizzazione o posti sotto sequestro per maltrattamento. È così, secondo quando denuncia la Lega del Cane di Laterza, paese vicino a Pulsano, a Massafra, a Lizzano e nella stessa Taranto. In attesa di qualche canile in più la soluzione adottata da molti comuni è quella di far sterilizzare i randagi dai veterinari dopo aver firmato una convenzione ad hoc. «Ma è una soluzione che nell’immediato non risolve il problema», ragiona Lupoli, «perché i cani dopo la sterilizzazione vengono messi di nuovo in giro perché ovviamente mancano le strutture che possano ospitarli. Penso, inoltre, che qualcuno dei paesi vicini di notte porti a Pulsano altri randagi. Davvero, non se ne esce più». Quasi una guerra, insomma, con scorribande notturne di gente che sposterebbe le povere bestie da un paese all’altro.
A Pulsano ci hanno provato a costruire un canile ma per ora è tutto fermo. «Siamo bloccati dal 2005», dice Lupoli, «avevamo iniziato i lavori per un canile rifugio con un project financing ma nel terreno sul quale doveva nascere dopo i primi scavi sono venuti alla luce reperti archeologici. La Soprintendenza ha dovuto fermare tutto. Dall’autunno però cerchiamo di trovare un’altra zona».
L’emergenza randagismo non riguarda solo Pulsano purtroppo ma tutta la Puglia, come conferma il presidente dell’Aidaa (Associazione italiana per la Difesa di animali e ambiente), Lorenzo Croce. «Il 15 per cento della popolazione randagia totale italiana è in Puglia», afferma, «le stime ottimistiche del Ministero dicono che i randagi pugliesi sono circa 60 mila. Le nostre, più pessimistiche, dicono che siamo intorno ai 115-120 mila».
Il problema, dicono gli animalisti, non è tanto gli abbandoni o la scarsità di canili ma soprattutto la mancata sterilizzazione delle bestie. «Non c’è dubbio», concordano dall’Aidaa, «nei primi sette mesi di quest’anno, ad esempio, le province di Brindisi e Taranto hanno fatto registrare un 25 per cento in meno di abbandoni rispetto al 2009. Senza sterilizzazione, i cani si moltiplicano nel giro di pochi anni. Poi c’è la zoomafia che ha messo le mani sulla gestione dei canili per cui il randagismo è diventato quasi una sorta di business molto redditizio».
CASI MISTERIOSI
Eppure, a differenza di altre regioni come Sicilia e Calabria dove le aggressioni da parte dei cani abbandonati si trasformano sovente in tragedia, da queste parti non si ricordano casi eclatanti di cronaca. Qualche caso misterioso sì. Come quello del dicembre scorso quando proprio a Pulsano nove cani randagi morirono avvelenati dopo aver mangiato bocconcini di carne avvelenati. Qualche ora dopo, denunciarono i volontari che si occupano di dargli da mangiare, sparirono anche le carcasse degli animali, portate via di notte. La polizia municipale decise di presentare una denuncia contro ignoti in Procura. Per non parlare dei tanti volontari che si occupano di accudire le bestie che spesso ricevono minacce anche verbali dagli altri cittadini.
Neppure il cane di quartiere, istituito da una legge regionale, che è munito di microchip e tenuto sotto controllo riesce a risolvere il problema. «Sono palliativi che non bastano», dice Croce. Un vero paradosso per la regione dell’ambientalista Nichi Vendola che è stata tra le prime in Italia, due anni fa, a fare una legge sulla pet-therapy creando una commissione ad hoc ma non riesce a risolvere l’emergenza randagi.