RAFFAELLA DE SANTIS, la Repubblica 6/8/2010, 6 agosto 2010
PICCOLI E MOLTO CREATIVI IL BOOM DEI FOGLI LETTERARI - C´è
vita fuori dal web. Tornano le riviste di carta. Sono più di cinquanta, hanno titoli fantasiosi, parlano di libri (ma non solo), sono autoprodotte e chi ci lavora lo fa per passione, solo per passione. Dopo la voglia di fare tutto in Rete, il fenomeno è esploso di nuovo. Perché la rinascita di Alfabeta 2 è il simbolo di un boom meno noto: da un po´ le testate indipendenti si ritrovano, infatti, per festeggiare la loro esistenza e, data la scarsità di finanziamenti, la loro sopravvivenza. A giugno, a Bologna, si è celebrato il festival "B.I.R.R.A", che sta per "Bagarre Internazionale di Riviste Alternative". Con un aumento di partecipanti che ha sorpreso gli stessi organizzatori.
Oggi il mercato è pieno di giornali stampati in proprio o da editori molto piccoli, che parlano di libri, fumetti, arte e società. Un censimento è difficile da fare, ma i nomi la dicono lunga sullo spirito che li anima. Catrame, che naviga tra blues e malinconie; El Aleph, con Borges come nume tutelare; Terre di mezzo, "street magazine dal basso"; Il Traghetto Mangiamerda, due euro e approccio dada; Argo, fondata dal critico Guido Guglielmi insieme a un gruppo di studenti bolognesi, e a cui hanno collaborato, fra gli altri, anche Wu Ming e Tiziano Scarpa. Ecco Toilet, che con ogni evidenza punta sul vitale riciclaggio degli scarti della cultura "ufficiale", dando spazio a chi è ancora un emerito sconosciuto, Collettivomensa, "tra il kitsch e l´underground", L´Accalappiacani (DeriveApprodi) e ´Tina, prodotta in edizione numerata di 50 copie a numero. Poi c´è Eleanore Rigby, forse la più nota, che si chiama come la canzone dei Beatles, quella scritta da Paul McCartney in persona, che parla di solitudine e inizia con una richiesta: Look at all the lonely people, guarda tutte le persone sole.
Per Michele Barbolini, che è tra gli animatori del centro autogestito "Bartleby" che ha ospitato il festival bolognese, la linea d´ombra tra ufficialità e indipendenza è legata ai contenuti più che alle tasche: «Rivista indipendente non significa semplicemente autoprodotta. Il discrimine è invece la linea editoriale». Una linea che deve marcare la differenza dall´editoria mainstream. Il che in concreto significa: possibilità di accogliere gli esordienti, e soprattutto libertà nella scelta dei temi da trattare.
Resta però aperta la questione dei finanziamenti. Una rivista indipendente in genere «non fruisce del finanziamento pubblico», spiega Giovanni Giovannetti, direttore de Il Primo Amore e fondatore delle edizioni Effigie. Per questo alcune testate, più in difficoltà di altre, sono state costrette a traslocare su web. Come Fernandel, nata a Ravenna nel 1994 e diretta da Giorgio Pozzi, che per spiegare il passaggio forzoso scrive sulla pagina del sito: «Siamo convinti di avere online una visibilità maggiore».
Non è però sempre così. Nonostante le difficoltà, ci sono riviste che percorrono il cammino opposto: è il caso di Sparajurij, che partendo dal web ha poi creato la cartacea Atti impuri (primo numero "per abbonati e pionieri": 108 pagine di inediti firmati da autori noti come Nanni Balestrini o Giorgio Falco e da sconosciuti), o della milanese FoLLelfo, contenitore di racconti, disegni e "sproloqui vari". Ma anche de Il Primo Amore, approdata alla cellulosa dopo un battesimo telematico: la rivista è arrivata all´ottavo numero, vende una media di 600 copie e registra 300 abbonamenti. Nel primo numero, sulla Rigenerazione, Antonio Moresco spiega: «Ci vuole qualcosa di più profondo di una rivoluzione: ci vuole una rigenerazione». Una love rigeneration, una catarsi affidata all´amore che sdogani dal vecchio lessico dell´intellettuale "organico", quello che su Alfabeta 2 Umberto Eco ha trasformato in "disorganico". E il dibattito è rimbalzato nel blog Nazione Indiana.
La storia letteraria italiana è fatta di riviste: Lacerba, La Voce, Solaria, La Ronda, Il Baretti. Nel dopoguerra Il Politecnico e Belfagor. Negli anni Cinquanta Il Verri, Il Menabò, Paragone, Nuovi Argomenti (ancora sana e vegeta) e Officina. Nei Settanta la rivista underground di Radio Alice A/Traverso e Re Nudo. Negli Ottanta Under 25 di Pier Vittorio Tondelli, i disegni su Frigidaire di Andrea Pazienza e Cavallo di Troia. I Novanta portano alla ribalta il laboratorio di Goffredo Fofi de Lo Straniero tra le più vivaci e interessanti (l´ultimo numero ha uno speciale proprio su Camus). Il nuovo millennio Il caffè illustrato di Walter Pedullà, oggi al numero 45. Ed è di nuovo in edicola Stilos, magazine diretto da Gianni Bonina, che affianca letteratura, graphic-novel, cinema e teatro.
Il declino delle testate storiche non ha significato la fine. Ma come si spiega tanto fiorire di iniziative? Alfonso Berardinelli, fondatore con Piergiorgio Bellocchio della rivista di critica Diario, la cui copia anastatica ristampata da Quodlibet sarà da settembre in libreria, dice: «Prima di tutto c´è una generazione di giovani intellettuali che fatica ad entrare dentro i grandi canali e che trova nelle riviste la possibilità di esprimersi. Poi va considerato il fatto che le riviste per loro stessa natura sono da sempre più aperte alla possibilità di sperimentazione, rappresentando lo spazio privilegiato del dibattito critico».
Per tanti è un primo passo verso l´editoria. E qualcuno ce la fa. Un nome fra gli altri: Paolo Nori, figlio di Fernandel e poi fondatore dell´Accalappiacani. E non è detto che chi taglia il traguardo rinunci alle riviste.