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 2010  agosto 06 Venerdì calendario

STORIA D’ITALIA IN 150 DATE

24 luglio 1921
Terror dei comunisti!
Alle tre del mattino si radunano a Grosseto una cinquantina di giovani: salgono su due camion, bastonano sette cittadini incrociati per strada, sfasciano il bar gestito da un anarchico e procedono verso il grosso borgo maremmano di Roccastrada (2600 abitanti). Tre mesi prima hanno ingiunto al sindaco socialista di dimettersi, ma costui non ha obbedito e merita una lezione. Quando i camion arrivano nei pressi del paese, una fucilata parte da dietro una siepe e uccide uno degli squadristi. La vendetta è immediata. Tutti i casolari della zona vengono saccheggiati e incendiati: alla fine della rappresaglia si conteranno dieci morti, persone inermi ed estranee per lo più alla faziosità politica. I carabinieri arrivano in ritardo e minimizzano il più possibile i fatti. I fascisti forniscono una versione in cui figurano come vittime della violenza rossa. Tutti spariscono in attesa che le acque si calmino e soltanto otto abitanti di Roccastrada vengono arrestati.
Episodi come questo si ripetono in ogni regione d’Italia, non solo nei capoluoghi, ma nei più sperduti villaggi. Gli squadristi si muovono a gruppi di trenta, cinquanta elementi. In origine sono stati assoldati dai proprietari terrieri come piccoli eserciti a difesa delle proprietà minacciate dalle «leghe rosse». Ma via via le loro «spedizioni» diventano offensive. Si tratta in massima parte di reduci dalla guerra, vestono camicia nera e fez, sono armati di nodosi bastoni e dispongono di pistole e fucili racimolati qua e là, ma spesso forniti dall’esercito regolare. Carabinieri e polizia li vedono di buon occhio, raramente si oppongono alle loro gesta. Molti sono ceffi da galera, molti invece convinti idealisti, intenti a ripulire il Paese dai tentacoli bolscevichi. Mussolini non ne ama gli eccessi, che spaventano la buona borghesia, ma sa di poter contare ciecamente su di loro. I vari ras locali se li prestano a vicenda, anche se l’anonimato dei picchiatori non è indispensabile. Ogni squadra ha un suo truce nome di battaglia, «La disperata», «L’asso di bastoni», e si scatena mettendo a fuoco sedi di giornali, di partiti, di sindacati e soprattutto le abitazioni dei «nemici», di cui hanno precisi indirizzi e che considerano insetti da schiacciare. È la guerra civile. Nelle loro file i morti, ossia i «martiri», saranno ufficialmente tremila, ma una fonte fascista attendibile li riduce a ottocento, forse quattrocento. Saranno loro a mobilitarsi per la marcia su Roma. Sfileranno senza combattere per le vie della città e verranno poi assorbiti nella milizia volontaria istituita dal Duce.