MARCO ALFIERI, La Stampa 6/8/2010, pagina 23, 6 agosto 2010
Venticinque stanze possono bastare - Venticinque stanze, come 50 anni fa. Quando i turisti si chiamavano bagnanti e alla pensione Edy di Rimini, tra via Tenda e la ferrovia, c’erano Adriana e Attilio, i genitori di Marta Agostini che insieme al marito Mauro gestisce il piccolo albergo in Riviera
Venticinque stanze possono bastare - Venticinque stanze, come 50 anni fa. Quando i turisti si chiamavano bagnanti e alla pensione Edy di Rimini, tra via Tenda e la ferrovia, c’erano Adriana e Attilio, i genitori di Marta Agostini che insieme al marito Mauro gestisce il piccolo albergo in Riviera. Mamma Adriana era cameriera a Villa Adriatica, il marito muratore. Tirare su due muri in quegli anni di boom e affittare le prime stanze agli stranieri che scendono in Romagna è quasi irresistibile. C’è l’incognita del nome, ma ci pensa «Lascia o Raddoppia», Mike Bongiorno & Edy Campagnoli: Pensione Edy, oggi «Hotel Edy, la tua casa al mare». Le pensioni in Italia sono sparite per legge dall’83, in realtà hanno solo cambiato insegna, diventando hotel a una o due stelle e fanno ancora il 37% degli alberghi della Riviera. Apertura da maggio a settembre come in quella estate magica 1960, «i ritocchi in inverno, conduzione familiare e gli ospiti che entrano clienti ed escono amici», racconta la signora Marta, mentre avvia le colazioni. «Alcuni ci mandano persino le pagelle dei figli e per il 50° di Edy un artigiano che viene da 20 anni ci ha appena regalato una targa/orologio con inciso i nostri nomi. Un’emozione...». Certo nei Sessanta «ospitalità voleva dire il bagno in fondo al corridoio», oggi «il premio fedeltà agli ospiti che tornano, la tv in camera, il condizionatore, e il menù a scelta carne, pesce o vegetariano». Ma il target è lo stesso del mondo di ieri: famiglie operaie e artigiane con bambini che crescono e ritornano per le sale giochi, piccolo ceto medio della provincia italiana e macchine utilitarie piene di nonni e passeggini per un confort dignitoso anche al tempo della banda larga. Insieme a un prezzario imbattibile: pensione completa da 38 euro. C’è stata un’estate, in Riviera, in cui migliaia di contadini e pescatori, da Cervia a Cattolica, diventano albergatori. In una città devastata dalle bombe come Rimini il mare è l’unico sbocco alla ricchezza, con la linea della ferrovia che diventa un confine dell’anima. «I primi turisti arrivano in moto da Cecoslovacchia e Ungheria. Venti camere a pensione per un turismo giovane», ricorda Giove Boldrini, il commercialista per antonomasia. «I lotti di terreno a mare vengono acquistati comprando cambiali dal tabaccaio, spesso pagandole con altre cambiali. Tanto dai debiti si rientra velocemente grazie alla clientela assicurata dal boom». L’hotel Doge di Riccione ha appena rifatto la sala da pranzo, ma «al secondo piano le camere sono quelle di allora», dice Fernando Rossi, il proprietario. La mamma Rina, che a mezzanotte gira ancora per i tavolini, è del quartiere Abissinia; il padre Alceste, 89 anni, è stato tra i pionieri dell’ospitalità riccionese. «Nel 1960, dove c’era la vigna, costruisce il primo blocco dell’albergo», ricorda orgoglioso Fernando, 59 anni. «Quello fu un treno passato a mille all’ora, un fai da te scomposto». Le mogli in cucina e i figli a servire. «Un mix di ingegno, voglia di lavorare, incoscienza e necessità». Un mestiere da veri «pataca», che in Riviera significa una persona che fa cose impensabili, sbruffona e romantica insieme, cinica e ingenua. Come i ragazzi di «Amarcord», che escono dal bar e si meravigliano dei pavoni. Nel frattempo esplode la voglia di estate: Fred Buscaglione & Rita Pavone, l’Embassy & la Casina del bosco. Nasce la vacanza democratica per impiegati e operai che il mare non l’avevano mai visto. Nel 1967 nel Riminese si contano la bellezza di 3300 alberghi. Di quegli anni resta il languore dei bagnini, immersi nel mito delle ragazze nordiche anche oggi che di stranieri se ne vedono pochini dopo il picco degli Anni ’60, quando la metà dell’incoming era targato Germania e Scandinavia. Un esodo crollato nell’89 con le mucillagini e la fine dell’Italia delle fabbriche. Il colpo finale arriva dalla mecca spagnola, Sharm el Sheik, la Grecia e le compagnie low cost. Le presenze scendono ai 15 milioni nel ’97 e non risaliranno più, nonostante i russi: piccoli dettaglianti di Mosca, San Pietroburgo e Rostov che vanno a comprare agli outlet di Firenze e Macerata, al Gros, alle Befane di Rimini, poi spediscono via cargo o ripartono con i pulmini. Da qualche anno comincia a vedersi anche un po’ di classe media dell’Est che viene per il mare (nell’ultimo weekend sono sbarcati 11 mila russi): le ragazze truccate al pomeriggio e il karaoke al The Budge di Marina centro. Altra fascia rispetto ai ricconi acquartierati al Grand Hotel o in fila alla gioielleria Bartorelli di Riccione. La vera sfida, per il presidente della Provincia, Stefano Vitali, «è come aumentare le cubature delle ex pensioni per offrire una ricettività al passo coi tempi senza svendere l’ospitalità romagnola» in una città che si è sempre paragonata a qualcos’altro: Ostenda ai primi del Novecento. Nizza nei Sessanta. Miami negli Ottanta. Las Vegas nei Novanta. «Ora qualcuno vorrebbe Rimini come la Dubai dei grattacieli», chiosa lo scrittore Piero Meldini, «vergognandosi del turismo per famiglie e terza età che frequenta gli alberghi taglia small». Tonino Guerra, che ha sceneggiato Fellini, teorizza l’abbattimento della prima linea per rivedere il mare. Gli albergatori vorrebbero riqualificare alcune delle 1800 strutture ancora aperte rottamando quelle più anacronistiche, tra Miramare e Rivabella. Maurizio Ermeti ha tentato la fusione costruendo l’I-Suite, 25 milioni di investimento con vetrate wellness e acqua riscaldata in inverno. Ma sono sempre 54 camere per salvaguardare il rapporto con gli ospiti. Niente a che vedere con gli albergoni da 300 stanze. Sarebbe un controsenso in una città non più riviera d’Europa, ma dove il 60% della gente continua a tornare l’anno dopo. «Tenero pastrocchio» per Federico Fellini. Semplicemente «Hollywood» per Vittorio Tondelli.