ALBERTO SIMONI, La Stampa 6/8/2010, pagina 12, 6 agosto 2010
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Europa, gli stranieri non bastano per fermare il declino - Un piccolo balzo oltre la soglia dei 500 milioni e un segno positivo dinanzi alle cifre che attestano la crescita demografica nel Vecchio Continente
Europa, gli stranieri non bastano per fermare il declino - Un piccolo balzo oltre la soglia dei 500 milioni e un segno positivo dinanzi alle cifre che attestano la crescita demografica nel Vecchio Continente. Al primo gennaio di quest’anno la popolazione dell’Unione europea ha superato la soglia simbolica del mezzo miliardo fermandosi a quota 501,1 milioni, 1,4 milioni in più rispetto all’inizio del 2009 (499,7 milioni), pari a un più 2,7 per mille. Un «saltino» debole e nemmeno sufficiente per scansare l’etichetta che l’Europa ha appiccicato addosso di Continente in perenne declino demografico, al quale rischia in questo momento di accompagnarsi la perdita di peso e influenza politica sullo scacchiere internazionale. Merito degli immigrati Dietro un apparente freddezza, i numeri celano significati e si prestano a interpretazioni ben più poliedriche e complesse. Così, stando a quanto riferito la scorsa settimana da Eurostat, si scopre che merito del balzo è dell’immigrazione: gli stranieri arrivati nei Ventisette nel corso del 2009 sono 0,9 milioni in più rispetto al 2008 e rappresentano il 60% dell’incremento demografico. La crescita naturale, il saldo fra nati e morti, rappresenta l’altro 40%. E le due voci, natalità e flusso migratorio, non sono divise in modo uniforme fra i Ventisette. Ci sono squilibri evidenti e non sempre di immediata lettura. La popolazione è aumentata in 19 Stati (fra cui l’Italia), e non ovunque solamente grazie a nuovi ingressi dai Paesi extra Ue. In alcuni, è il caso della Francia e dell’Irlanda, il tasso di natalità, rispettivamente 12,7 per mille e 16,8 per mille, ha avuto un ruolo determinante nella crescita demografica. A preoccupare però gli esperti sono la Germania, fanalino di coda per i nuovi nati, e il trend nei Paesi dell’Est, dove l’incertezza economica gioca un ruolo chiave nel frenare le nascite. Nascite e decessi Nel 2009 sono nati 5,4 milioni di bambini, i decessi sono stati 4,8 milioni. Ma questo gap a favore dei «nuovi arrivati» è destinato ben presto ad assottigliarsi e a sparire. Lo spartiacque, ribadiscono gli esperti che già avevano lanciato l’allarme nel 2008, sarà il 2015 quando i morti supereranno i neonati. Nel 2020 la forbice, con la scomparsa dei figli del baby-boom, sarà ampliata. D’altronde il tasso di fecondità per donna nella Ue è di 1,6 (dato del 2008) e non vi sono in vista grandi scossoni. Affidarsi agli immigrati per «popolare» il Vecchio Continente e continuare a garantire la sostenibilità del sistema sociale, pensioni in primis, e dell’attività produttiva, come l’esigenza di manodopera, sembra più di una necessità. Stranieri «italianizzati» Ma il successo, secondo gli esperti, è tutt’altro che scontato. Anche perché, è l’opinione del demografo dell’Università Bicocca di Milano, Giancarlo Blangiardo, anche il tasso di fertilità delle donne straniere è in calo. Nelle grandi città soprattutto le famiglie degli immigrati tendono a «italianizzarsi» e a vivere gli stessi problemi (dal costo della vita, agli affitti sempre più cari) degli italiani. E ad agire di conseguenza per quanto riguarda il mettere al mondo dei figli. Appena 4 anni fa il tasso di fertilità di una straniera era al 2,5. Ora è sceso a 2. Non tremendamente lontano dall’1,6, la media europea. «E comunque siamo a livelli inferiori per quanto concerne il ricambio generazionale», spiega Blangiardo. Svaniscono posti di lavoro e cala il numero di immigrati. In Spagna si è passati dai 200 mila posti di lavoro del 2007 agli appena 16 mila del 2009. Una caduta verticale legata per lo più al tracollo dell’edilizia. L’Irlanda addirittura ha assistito per la prima volta da svariati anni alla ripresa dell’emigrazione (più 37%). L’Italia nel 2009 ha azzerato le quote per i lavoratori stranieri non stagionali. E gli ingressi, in totale, quest’anno dovrebbero aggirarsi attorno ai 350 mila, comunque inferiori alle cifre dirompenti del biennio 2007-2008. Difficile in un contesto del genere pensare che saranno gli immigrati a garantire pensioni, Stato sociale e manodopera, più o meno qualificati. La variabile turca Osservatori europei ritengono che il futuro - e garanzia della tenuta delle spese per il welfare - dipenda dai 75 milioni di turchi (90 milioni nel 2025) che bussano alle porte della Ue. Sarebbe una soluzione tampone e temporanea, è l’analisi di Gilles Pison rilanciata da Le Monde. Il motivo? Anche la Turchia sta vivendo un trend demografico in discesa e il tasso di fertilità al 2,1 non consente, a meno di inversioni repentine, grandi voli di fantasia.