Domenico Quirico, La Stampa 6/8/2010, pagina 1, 6 agosto 2010
Taylor, presidente da 50 mila morti - C’è una fotografia del 1997 che tre milioni di cittadini della Sierra Leone vorrebbero decifrare: un’immagine che sprizza allegria, con Naomi Campbell e Mia Farrow, i loro agenti e Nelson Mandela
Taylor, presidente da 50 mila morti - C’è una fotografia del 1997 che tre milioni di cittadini della Sierra Leone vorrebbero decifrare: un’immagine che sprizza allegria, con Naomi Campbell e Mia Farrow, i loro agenti e Nelson Mandela. È una pratica antica, che mette tristezza ma a cui siamo abituati: l’uomo che ha sconfitto l’apartheid trasformato in statuina da presepio, in ninnolo che alza la popolarità. Ma è l’uomo al centro, con l’aria maramaldesca, che indigna e lascia senza fiato. Domanda: perché a fianco di Mandela e degli altri c’era quella sera un assassino notorio che si chiama Charles Taylor? In Sierra Leone stanno vivendo oggi tempi migliori, con l’entusiasmo di chi comincia a credere al paradiso perché prima si credeva nell’inferno. Per averlo provato di persona. Ovvero tribalismi, guerre civili, rivoluzioni più sozze dei poteri che volevano abbattere. Non hanno mai visto «Blood Diamond», ignorano le avventure che Zwick e DiCaprio, astuti bracconieri in celluloide del dolore africano, hanno ambientato nei loro Paesi. Non hanno soldi per andare al cinema, con 10 mila «leon» al giorno, circa 2 euro, spremono appena quanto basta per mangiare. I ricchi ci sono per carità, sono gli uomini d’affari che durante gli undici anni della guerra civile trafficavano in pietre preziose. Loro, i poveri, non hanno gioito per la compunta indignazione che la storia dei diamanti insanguinati ha sollevato in Occidente. Perché vivere in Sierra Leone è come essere dimenticati in un labirinto quando il bigliettaio se n’è andato. Sono andati a votare per le prime elezioni democratiche, non hanno capito molto dei programmi dei partiti tutti intitolati rigorosamente al «popolo». Loro hanno votato per avere l’acqua corrente, l’energia elettrica e un lavoro. Da quando è finita la guerra civile nel 2001, governo contro ribelli dell’Est guidati da Foday Sankoh, ex caporale diventato lo Spartaco dei diamanti, la produzione dei diamanti è cresciuta da 10 a 164 milioni di dollari, ma allo Stato, per dar loro quel rubinetto e quell’interruttore, resta solo il 6 per cento. Il resto? Rubato, come i milioni degli aiuti dell’Onu. Ma tutti, senza eccezioni, sanno riconoscere l’uomo nella foto. Ventiquattro dicembre 1989, il Muro di Berlino è crollato da appena sei settimane. Vicino a Danané, città ivoriana alla frontiera con la Liberia, sta per nascere un nuovo ordine africano fitto di demoni: un signore della guerra, una terra come bottino, una banda di miliziani, tra cui molti bambini a cui affidare massacri insensati. In quella notte di Natale un gruppo armato di una trentina di uomini guidati da un ex alto funzionario liberiano, Charles Mac-Arthur Ghankay Taylor, si infiltra in Liberia. I soldi e l’addestramento li ha forniti Gheddafi. Taylor, che ha rubato 900 mila dollari allo Stato, è fuggito negli Usa; e poi anche da una prigione americana dove attendeva l’estradizione. Affabile parlatore, senza scrupoli, titolare di un Bachelor of Science dell’università del Massachusetts è diventato il primo signore della guerra. È un imprenditore che lavora con i kalashnikov, con gli stessi concetti di Wall Street: risparmio sui costi, massimo profitto, manodopera sottopagata. Taylor ha inventato i bambini soldato riuniti in una unità da choc, la Small Boys’ Unit. Dopo sei anni di massacri, nel 1997, Taylor diventa presidente: con le elezioni. Lo slogan della sua campagna: «Ho ammazzato tuo padre. Ho ucciso tua madre, vota per me se vuoi la pace». Assassino diventato capo di stato, allarga gli affari. Alla vicina Sierra Leone dove delega un luogotenente, Faday Sankoh detto Okuruba, il guerriero, stregone della setta segreta tradizionale Poro. Mettono insieme un traffico di diamanti, droga, auto rubate, armi, legname pregiato. E 50 mila morti, stupri innumerevoli, la pratica della amputazione delle braccia dei prigionieri («manica corta» a livello del gomito, «manica lunga» alle ascelle). C’è voluto l’intervento dell’esercito inglese nel 2000 per fugare questa nube pestifera. Sankoh è morto, invalido e semifolle, prima di essere giudicato dal tribunale internazionale. Taylor lotta colpo su colpo, sarà difficile incastrarlo. Non basterà, comunque, per chiudere il conto della memoria con 50 mila morti. Ma la memoria non ha diritto di vincere nella sua lotta contro il nulla? Per esempio quella foto: perché Taylor era seduto vicino a Mandela?