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 2010  agosto 06 Venerdì calendario

IL DESTINO DELL’ENI

La Libia vuole aumentare la quota di azioni dell’Eni che controlla (ora dovrebbe essere sotto l’uno per cento). Ha già una posizione di rilievo in Unicredit group, dov’è arrivata a controllare il 7 per cento, e un trentennale consolidato rapporto con la famiglia Agnelli, che si concretizza in una partecipazione del 7,5 per cento nella Juventus.
LA SCALATA. Ma il sogno proibito del sessantottenne leader libico Muhammar Gheddafi resta sempre l’Eni, il gioiello delle partecipazioni statali che integra la diplomazia italiana con la sua ramificata presenza estera nei paesi produttori di petrolio e gas. Secondo quanto risulta al Fatto Quotidiano la Libyan arab foreign investment company (La-fico), l’importante braccio finanziario della Repubblica socialista nordafricana che ha una disponibilità di circa 70 miliardi dollari, è tornata alla carica sondando la possibilità di acquisire fino al 15 per cento delle azioni del gruppo guidato da Paolo Scaroni, che proprio lo scorso 28 luglio ha licenziato i risultati del primo semestre del 2010, con 3,45 miliardi di euro di utili netti, in rialzo del 29,5 per cento rispetto allo stesso periodo del 2009.
Numeri che l’anno scorso hanno assicurato al ministro dell’Economia Giulio Tremonti un dividendo – molto prezioso in tempo di crisi economica – da 1,2 miliardi di euro, grazie al 30 per cento delle azioni in mano allo Stato italiano (di cui il 10 per cento attraverso la Cassa depositi e prestiti).
IL GOVERNO. Della volontà di aprire ai libici il capitale del Cane a sei zampe ne hanno discusso il direttore Affari societari e governance della società Roberto Ulissi e Roberto Poli, presidente nonché storico consulente finanziario di Silvio Berlusconi (lo supporta anche nel procedimento civile relativo al Lodo Mondadori).
Non è la prima volta che Gheddafi tenta il colpaccio con Eni. Nel dicembre 2007 il Colonnello libico aveva raggiunto un’intesa che avrebbe permesso al Libyan Energy fund di poter salire gradualmente fino al 10 per cento del capitale. Due mesi prima la società aveva rinnovato per altri 25 anni le licenze di estrazione italiane nel paese nordafricano (fino al 2042 per il petrolio e fino al 2047 per il gas). Ma l’opzione non si è mai concretizzata per una forte opposizione interna e politica.
LO STATUTO. Per quanto le disponibilità monetarie libiche siano importanti, il 15 per cento dell’Eni equivale a un investimento tra i 9 e i 10 miliardi di euro ai prezzi correnti: un impegno di denaro a lungo termine che deve essere pienamente condiviso anche con gli altri soci e il management , che dovranno mettere mano anche allo statuto della società. Quello dell’Eni non permetterebbe a nessun socio, Stato a parte, di avere più del 3 per cento delle azioni con diritto di voto, come recita l’articolo 6. Ulissi e Poli sono al lavoro per capire come poter aggirare l’ostacolo. I ministeri dell’Economia e dello Sviluppo economico mantengono comunque ben salda una golden share (un privilegio che significa avere diritti più ampi rispetto a quelli degli altri soci, compresi diritti di veto assoluti circa il gradimento di nuovi soci importanti), contestata da molti anni a livello comunitario ma ancora inserita nel regolamento che norma la vita societaria del gruppo petrolifero.
Per giungere al 15 per cento dei diritti di voto Lafico ha quindi bisogno di un intervento regolamentare che coinvolge il governo, il ministro dell’Economia Giulio Tremonti o quello dello Sviluppo (oggi Berlusconi), il primo dei quali finora poco disposto ad aprire ad altri soci importanti a meno che non siano silenti fondi d’investimento.
TENTAZIONI. Gli ultimi accordi tra l’Eni e la Libia, che da sola equivale al 20 per cento dell’estrazione di barili equivalenti di petrolio – 20 miliardi di investimenti in 10 anni – da un lato, e il miglioramento delle relazioni circa gli sbarchi dei clandestini, nonché l’accordo per chiudere tutte le controversie sul periodo coloniale sono un collante che andrà valutato in sede di decisione governativa, per giungere magari ad una soluzione intermedia. D’altronde il ministro Tremonti sa bene che l’alleato arabo può essere un prezioso aiuto magari in momenti di difficoltà nel reperimento di fondi per sostenere l’ insostenibile debito pubblico italiano e la Libia è un mercato di sbocco per le nostre imprese, in particolar modo quelle del settore costruzioni e grandi opere. Tutte variabili sulle quali potrebbe giocare Gheddafi per convincere, prima o poi, ad aprire lo scrigno del tesoro.
C’è inoltre un aspetto strategico che l’Italia non dovrebbe sottovalutare, riguardante l’attività propria della società: Eni sarebbe l’unica tra le major mondiali ad avere come azionista forte un paese produttore di petrolio, il quale potrebbe condizionare la strategia di presenza globale nelle altre aree di produzione.