Mario Sensini, Corriere della Sera 6/8/2010, 6 agosto 2010
ALBERTO ALEOTTI L’INDUSTRIALE DEL LIECHTENSTEIN
Alberto Aleotti, titolare della Menarini, oltre ai fondi occultati in Liechtenstein (476 milioni di euro), poi «scudati», avrebbe evaso altri 400-500 milioni di euro. ROMA — «Noi non ci stiamo. Porteremo le nostre aziende in Germania». Per protestare contro la politica del governo sui prezzi dei medicinali, il vulcanico Cavaliere del Lavoro Alberto Aleotti, titolare della Menarini, aveva acquistato nel ’95 intere pagine di giornali. La minaccia restò sulla carta: la Menarini, nel frattempo diventata una multinazionale del farmaco con imprese in tutto il mondo, non si è mai mossa da Firenze. In compenso, all’estero, molto vicino alla Germania, e precisamente in una banca del Liechtenstein, Aleotti ha invece nascosto un bel gruzzolo: 476 milioni di euro. È lui l’italiano di cui ha parlato l’altro giorno al settimanale «Stern» la gola profonda che ha venduto ai servizi segreti tedeschi la lista degli evasori nascosti nel Principato. Quei fondi Aleotti li ha scudati nel 2001, pagando la tassa prevista per regolarizzarli. Se ha perso il pelo, tuttavia, Aleotti parrebbe non aver perso il vizio.
Da qualche mese il fisco italiano ha acceso i fari su un altro ricchissimo patrimonio nascosto e riconducibile all’industriale fiorentino e alla sua famiglia. Ancora una volta si parla di cifre a otto zeri: quattrocento, forse cinquecento milioni di euro, dicono fonti vicine all’inchiesta condotta dal sostituto procuratore della Repubblica di Firenze, Luca Turco, che ha indagato Aleotti e i suoi figli, Lucia e Alberto Giovanni, per un presunto traffico illecito di prodotti farmaceutici con la Cina.
Sui fondi in Liechtenstein, già saltati fuori nel 2008, Alberto Aleotti non ha difficoltà a parlare. «Tutte le disponibilità finanziarie mie e della mia famiglia sono regolarmente e integralmente assoggettate a tassazione» dice attraverso il portavoce dell’impresa, confermando indirettamente l’adesione al primo scudo fiscale varato dal governo Berlusconi. Sull’inchiesta della magistratura fiorentina, invece, Aleotti tace. Il sospetto degli inquirenti, che nel 2009 hanno messo in azione prima i Carabinieri del Nucleo antisofisticazione e subito dopo l’Agenzia delle Entrate, è che dietro alle importazioni dei principi attivi di due farmaci, la pravastatina e il fosinopril, ci sia anche una nuova gigantesca frode tributaria, attraverso la sovrafatturazione (con la tecnica del cosiddetto «transfer pricing»). Gli accertamenti degli agenti del fisco, complicati perché devono muoversi attraverso un dedalo di società per seguire il tortuoso percorso delle fatture, dovrebbero concludersi in un paio di mesi.
Per Aleotti, che continua a scrivere lunghissime lettere a Silvio Berlusconi e Giulio Tremonti denunciando l’insostenibilità della politica italiana sul prezzo dei farmaci, potrebbe rivelarsi un brutto colpo. Anche se l’ottantasettenne Cavaliere del Lavoro di brutte esperienze ne ha già avute, come quando venne arrestato nel ’94 per aver pagato quasi un miliardo a Duilio Poggiolini per ottenere un aumento del prezzo dei farmaci. Arrivato alla Menarini nel ’64 come semplice direttore, divenuto amministratore unico dieci anni dopo, e oggi unico proprietario di un gruppo da 2,7 miliardi di fatturato, per raggiungere i suoi obiettivi Aleotti ha sempre usato metodi, per così dire, spicci. Non solo tangenti e pagine di giornali. Anche i suoi informatori medici si muovevano con gran disinvoltura per spingere le prescrizioni dei suoi farmaci. Ai medici regalavano prima un cucchiaino d’argento, la volta dopo la forchetta. E pian piano che il servizio di posate si completava, gli utili della Menarini (come i conti all’estero di Aleotti) crescevano.