Armando Torno, Corriere della Sera 6/8/2010, 6 agosto 2010
LA CHIESA DEL MIRACOLO DOVE APPARVE L’OLIO SACRO PER CONSACRARE IL RE
Si va a Reims per infinite ragioni. Una potrebbe essere lo champagne, la divina bevanda di cui è capitale: alcune case produttrici utilizzano come cantine le gallerie di epoca romana scavate nel sottosuolo. Oppure per l’isolata Porte Mars, grandioso arco trionfale in onore di Augusto, eretto postumo nel III secolo. Ma tutte le eventuali attrattive scompaiono dinanzi alla Cattedrale di Notre-Dame, uno dei capolavori del gotico maturo. In essa, per oltre tredici secoli, vennero consacrati i re di Francia. Le uniche eccezioni: Luigi VI ed Enrico IV. La magnifica chiesa cominciò a essere costruita nel 1211 e le sue torri furono terminate nel 1475; le vetrate si realizzarono tra il XIII secolo — un esempio: quella della Creazione, nella rosa del transetto sinistro — e il 1974, allorché Chagall suggellò le sue nella cappella centrale del deambulatorio. I bombardamenti e gli incendi della Prima guerra mondiale causarono danni più gravi di quanto riuscì a fare il fuoco nel 1481, tanto che i restauri durarono un ventennio e nel 1937 ci fu una sorta di «riconsacrazione». Le truppe tedesche la occuparono nel settembre 1914, utilizzando il pavimento come dormitorio, ricoprendolo di paglia. La cattedrale soffrì in tutte le sue parti. Vi pioveva dentro e dal portale sinistro, tra l’altro, cadde la testa della statua dell’Angelo del Sorriso, ritrovata nel 1915. Dove c’è magia? Verrebbe voglia di rispondere: ovunque. Pur dopo una breve visita e aver notato i ritocchi dei restauri, ci si accorge che anche quanto è scomparso sa contagiare le emozioni. Un esempio? Il labirinto che c’era sul pavimento — lo schema è riprodotto sulla copertina dell’edizione Bompiani de Il nome della rosa di Umberto Eco — costruito prima della consacrazione di Filippo il Bello (6 gennaio 1286) e distrutto nel XVIII secolo, in pieni Lumi. Il crimine si deve al canonico Jacquemard, al quale pare desse fastidio l’uso giocoso che ne facevano i bambini: durante le funzioni sacre, cercavano di seguirne gli intrichi divertendosi. A pianta ottagonale, recava ai quattro ottagoni laterali l’immagine dei maestri muratori, con i loro simboli; al centro, si suppone, la figura dell’arcivescovo Aubri de Humbert che pose la prima pietra. Il significato? Difficile rispondere, perché da Platone a Borges ipotesi e descrizioni sono innumerevoli; anzi il termine deriverebbe dalla lingua pregreca dei Pelasgi e già nella mitologia indicava, appunto, il labirinto di Cnosso. Se Plinio il Vecchio nella Naturalis historia ricorda quattro modelli del mondo antico, nel medioevo le cattedrali, da Chartres a Siena, fecero a gara per averne, giacché si credeva che rappresentassero il cammino simbolico dell’uomo verso Dio. Diventarono una sorta di pellegrinaggio in miniatura, una via di espiazione: per tale motivo il labirinto era percorso durante la preghiera e concedeva in taluni casi le medesime indulgenza che si potevano lucrare con un vero viaggio. E che dire dell’ampolla contenente l’olio per la consacrazione dei re di Francia? La sua storia leggendaria la troviamo riassunta nel secondo volume dell’Enciclopedia italiana uscito a Venezia, dai torchi di Girolamo Tasso, nel 1838. Si narra che nel 496 al battesimo di Clodoveo, considerato il fondatore della monarchia francese, venne a mancare l’unguento «per colpa di un chierico». Remigio, il futuro santo che stava celebrando, alzò gli occhi al cielo «e tosto apparve una colomba la quale recava nel becco un’ampolla piena di olio santo, che mandava soavissimo odore». Ne versò alcune gocce nell’acqua battesimale e il rito poté compiersi. Il volatile, si disse, scomparve, ma non il suo dono. Anzi, si ricorda che, nonostante l’uso nei secoli, il contenuto «non scemò mai di quantità». Poi arrivò la Rivoluzione Francese: nel 1793 la sacra ampolla fu rotta pubblicamente da Ruhl, commissario della Repubblica, ma l’olio fu «recuperato». Come? «Un buon prete — si legge nel ricordato tomo — ne raccolse le gocce con del cotone, e postolo in una lettera, lo mandò a un benedettino: più tardi, dopo la restaurazione, si trovò un’ampolla eguale alla prima, vi si mise sul labbro il cotone e l’olio calò, e apparve nella quantità solita». La fonte di questo prodigio va cercata nei giornali francesi che annunciarono l’incoronazione di Luigi XVIII, gottoso re di Francia dal 1814 al 1824. E il racconto miracoloso fu ripetuto nel 1825, per Carlo X. Oggi non mancano copie dell’ampolla, ma non valgono la fatica della visita. Merita invece di essere letto il cerimoniale della consacrazione del re — il più antico è quello copiato nel X secolo dall’abate di Saint Vaast, conservato alla Nazionale di Francia come Manoscritto Latino 12052 — che trovò una sua sistemazione nel corso del XIV secolo. Una traduzione del 2002, dovuta all’abate Jean Goy, è venduta nel banchetto librario collocato all’inizio della navata sinistra (il tavolo centrale, invece, offre opuscoli per visite rapide: c’è un signore gentile che sembra un personaggio di Jean Giono). Si prova un brivido leggendo a formula dell’unzione, quando Dio è invocato attraverso i grandi della Bibbia, testimoni e garanti dell’atto solenne. Ma la cattedrale è magica nella sua storia, nei dettagli, nell’insieme. Come non ricordare nel 1226 «le sacre» del dodicenne Luigi IX, il futuro santo? E nel 1429 quello di Carlo VII alla presenza di Giovanna d’Arco? L’ultima cerimonia, nel 1825 per Carlo X, lasciò una notevole traccia musicale: da Il viaggio a Reims di Rossini alla splendida Messa che Cherubini — allora direttore del conservatorio di Parigi — scrisse per l’avvenimento. Delle 2302 immagini scolpite, l’Angelo del Sorriso (finito, tra l’altro, su un francobollo e nel titolo di un romanzo di Léandre Vaillat del 1929) testimonia miti perduti; senz’altro rammenta l’ingresso gioioso di ogni uomo nell’eterno. Chi lo scolpì forse lesse lo Pseudo Dionigi: «L’angelo è immagine di Dio, riflesso visibile dell’invisibile Luce, specchio puro, limpido, intatto». A Reims il suo volo continua.