FRANCESCO MERLO, la Repubblica 5/8/2010, 5 agosto 2010
IRONIA
«Se militi in un partito e accetti le iniquità del capo ne diventi complice, ma se le rifiuti e le denunci ne diventi il boia». Gianfranco Fini conosce bene "il paradosso del dissidente". Detestava già Berlusconi ma si sentiva legato a lui da un comune destino: misurarsi con il centrosinistra e batterlo insieme. E si abbracciavano sullo stesso palco e cantavano lo stesso inno perché Fini, praticando il dissenso ma non il dissidio, voleva il rispetto che si deve alla minoranza. Una cosa è infatti dissentire – "non sentire" allo stesso modo – e un´altra è dissidére, cioè "sedersi a parte", cambiare sedia, separarsi.
Ma Berlusconi non la pensa così: la critica è un complotto e persino l´ironia è infedeltà. Al punto che la ministra Carfagna, amica di Bocchino ma non schierata con Fini, è sospettata di alto tradimento (esiste il basso tradimento?) da quando, in un´intervista a Daria Bignardi, ha detto: «Se Berlusconi fosse stato mio padre non gli avrei permesso di tingersi i capelli» (tu quoque, Mara mia). Insomma non solo il dissenziente è dissidente, ma anche chi non compiace il giovanilismo senile del capo, chi pecca di disamore e disincanto, come nella religione, nelle società criminali, nei partiti comunisti e fascisti.
E infatti la Chiesa bolla i dissidenti come eretici e, se solo potesse, li brucerebbe ancora. La mafia li condanna all´annientamento fisico ma, prima ancora, aggredisce e calunnia figli e mogli, proprio come i giornali di Berlusconi fanno con Fini, con Menia, con Granata, anche se l´onore della dissidenza non rende onesti né impuniti, così come nell´Urss c´erano molti valorosi dissidenti che restavano pessimi scrittori.
Tutti seguono l´insegnamento dei grandi maestri della diffamazione, Stalin e Beria, che cominciavano la tortura dei dissidenti chiudendo le loro donne in celle quadrate: «Uscirai di qui quando troverai il quinto angolo». Più contorta e a suo modo tollerante fu la repressione dei fascisti verso i camerati bricconi – da Berto Ricci a Italo Balbo, dal giovane Montanelli a Grandi – che avevano preso in prestito la camicia nera dagli anarchici ma non diventarono mai dei veri oppositori: non dissidenti ma frondisti, "pierini" di regime, un po´ come oggi gli amici del Foglio.
Solo i liberali e i democratici proteggono i dissidenti, vuoi per amore vuoi per forza: «Quelli che la pensano come noi sono quelli che non la pensano come noi» scriveva Sciascia evocando Voltaire. Mentre Lyndon Johnson, più sboccato, faceva della tolleranza liberale una sapienza di governo: «Meglio averli dentro la tenda che pisciano fuori, piuttosto di averli fuori che pisciano dentro». Borges arrivava alla dissidenza da se stesso: «Mi sono iscritto al partito conservatore. Ma una volta affiliato al conservatorismo, il trionfo radicale mi ha fatto piacere».
Certo, può far sorridere che la bandiera della dissidenza sia passata dalle mani di Lutero a quelle di Bocchino o che dall´impegno della prosa a parentesi di Solgenitsyn si sia arrivati alle rime del dissidente di Furci Siculo: «Non è un voto con l´intruglio / questo è il voto per Briguglio». È la Storia che si fa commedia. E basti pensare che mai nessuno aveva fatto battute grevi sul nome "Bocchino". Il primo è stato Berlusconi seguito dai suoi bravi, con tutto l´armamentario arcaico della vecchia destra da casino, perché sul dissidente si esercitano i vigliacchi, impuniti all´ombra del capo che nel dissidente intravede la propria fine e dunque lo ridicolizza se non può dargli del matto, come facevano appunto i Maestri sovietici. Ma da quanti dissidenti e pazzi è fatto il progresso?
È noto che Einstein, quando morì, aveva sul comodino un libro (Mondi in collisione) di Immanuil Velikovskij, medico russo di origine ebraica, contro il quale la comunità scientifica aveva organizzato quella crociata che lo bollò per sempre come "pazzo". Ebbene Einstein sapeva che questi "matti" sono i marines della scienza, i dissidenti della politica, e solo il loro coraggio apre le porte del futuro. E infatti, venti anni dopo, quando alcune delle sue teorie si dimostrarono fondate, Velikovskij fu accolto trionfalmente ad Harvard. Pazzo e dissidente sono sinonimi? Scriveva Bernard Shaw: «I saggi adeguano se stessi al mondo, i pazzi persistono nel tentativo di adeguare il mondo a se stessi, e quel che ne consegue è che il progresso è in mano ai pazzi».
Sempre nel dissidente si annida il futuro. Marx disside da Hegel, Cristo dagli ebrei, Sacharov da Breznev. Pintor portò via dal Pci che lo espelleva la fiammella della sinistra illuminista e Montanelli, costretto a lasciare il Corriere, portò con sé lo scrigno dei valori di destra. Allo stesso modo Fini e i suoi ribelli portano con sé le classiche definizioni della destra: toga, cattedra e caserma. La toga dell´eroe Borsellino contro l´eroe Mangano, la cattedra di Gentile contro la Gelmini, la caserma dei carabinieri contro le ronde. Ma portano soprattutto via l´idea dell´Italia nazione minacciata dall´eversione di Bossi. Fini disside dalla secessione in atto: la cittadinanza contro l´etnia, la modernità dell´Italia plurale contro il medioevo padano, la solidarietà contro l´egoismo. Dunque, ancora una volta, nei dissidenti c´è molta più storia di quanta ce ne sia nel regime che li espelle. Nella dissidenza c´è l´eresia, ma il dissidente custodisce il marchio originario: quella destra che Berlusconi, come l´apprendista stregone, pensava di comprarsi e di domare e che invece, dissentendo e rinascendo, finalmente lo arresterà (nel senso di fermarlo).