Questo sito utilizza cookies tecnici (propri e di terze parti) come anche cookie di profilazione (di terze parti) sia per proprie necessità funzionali, sia per inviarti messaggi pubblicitari in linea con tue preferenze. Per saperne di più o per negare il consenso all'uso dei cookie di profilazione clicca qui. Scorrendo questa pagina, cliccando su un link o proseguendo la navigazione in altra maniera, acconsenti all'uso dei cookie Ok, accetto

 2010  agosto 05 Giovedì calendario

ECCO IL TRIBUNALE DEI PIRATI PER I NUOVI PREDONI DEL MARE

L´arringa difensiva è poco convincente. E loro lo sanno bene. Perciò, rinchiusi nel gabbiotto del tribunale appena inaugurato per processare i pirati colti in flagrante nel Golfo di Aden, gli imputati non riescono a ostentare la spietatezza dei corsari di una volta, di Jacques Jean David Nau, per esempio, che usava strappare la lingua ai suoi prigionieri, o del feroce Barbanera il quale sparava alle ginocchia dei suoi stessi sgherri quando questi non gli dimostravano la devozione richiesta. Loro, i somali giudicati in questi giorni dalla nuova Corte nata nel carcere di Mombasa grazie ai fondi dell´agenzia delle Nazioni Unite contro la droga e la criminalità (Unodc), sono piuttosto macilenti e hanno l´aria assente. Sono nove, tutti giovanissimi. Il loro sguardo è spento o, al contrario, pieno di paura.
Nell´aula ancora aleggia l´odore della vernice con cui sono state ridipinte le pareti. Nonostante il caldo asfissiante, i giudici e gli avvocati indossano tutti la giacca e la cravatta. L´accusa contro i somali è il tentato sequestro di un cargo greco, reato per il quale rischiano vent´anni di galera. «I miei clienti rientravano dallo Yemen in Somalia e trattandosi di una rotta molto pericolosa avevano armi a bordo della loro imbarcazione», dice il loro avvocato usando una linea difensiva ormai inflazionata, e che al cospetto delle prove d´accusa si sbriciola come un vecchio biscotto. Queste consistono in un ammasso di ferraglia: sono le carabine, i kalashnikov, i revolver e i lanciarazzi ritrovati nel loro potente fuoribordo, perfettamente funzionanti sebbene ricoperti di ruggine e salsedine.
Poco prima, nel silenzio rotto soltanto dal soffio di un grosso ventilatore appeso al soffitto, il pubblico ministero aveva letto la dichiarazione di un ufficiale della Marina di Atene che pattugliava la zona con la sua corvetta al momento dell´attacco. Dopo aver ricevuto la chiamata d´aiuto del comandante del cargo, l´ufficiale ha immediatamente spedito due elicotteri carichi di agenti speciali, i quali in pochi minuti hanno disarmato i nove pirati.
Come loro, nel tribunale del carcere di Mombasa ci sono più di cento i somali in attesa di giudizio. Si chiamano Hussein, Said, Abdi, Haji, Abdul o Mustuku e, come i nove nel gabbiotto, saranno anch´essi giudicati per un attacco fallito. Fallito, o naufragato, come i loro sogni, che erano quelli di diventare milionari in una notte, e che dovrebbe essere il destino di ogni predone della moderna filibusta. «Adesso avranno almeno diritto a un processo equo, che si svolgerà in un luogo appositamente creato a questo scopo», spiega un funzionario dell´Unodc. «Già, il tribunale di Mombasa sembra proprio la soluzione a molti problemi».
Sebbene la Convenzione internazionale di Montego Bay consideri la pirateria un crimine contro l´umanità perseguibile in ogni Stato del pianeta, prima che nascesse la Corte di Mombasa la difficoltà consisteva nel sapere dove e come processare i pirati. Esiste, infatti, un problema di giurisdizione, poiché l´ordinamento di diversi paesi, come la Spagna, non contempla questo reato. Ora, negli ultimi tre anni gli attacchi a petroliere e porta-container attorno al Golfo di Aden si sono moltiplicati a dismisura, con perdite per gli armatori che si aggirano attorno ai 32 miliardi di euro. Per questo, quel tratto di mare è oggi solcato dalle navi da guerra di Francia, Italia, Spagna, Grecia, Germania, Russia, Stati Uniti e Svezia. «Credo che per mettere fine alla pirateria servirebbe piuttosto una soluzione politica, come ristabilire l´ordine pubblico e una parvenza di governo a Mogadiscio», sostiene il ministro della Giustizia kenyano, Mutula Kilonzo, presente all´inaugurazione della Corte di Mombasa. «L´assurdità è che l´Unione europea spende centinaia di milioni di dollari l´anno per pattugliare quel tratto di mare, molto di più degli aiuti versati alla Somalia». Gli attacchi, insinua Kilonzo, continueranno a prodursi finché quella regione del Corno d´Africa sarà afflitta dalla miseria, e finché il solo modo per scamparvi sarà la pirateria.
Una volta i bucanieri colti sul fatto e giudicati colpevoli erano condannati al patibolo. A Londra, nel Settecento, la legge dell´Ammiragliato prescriveva che il corpo del giustiziato fosse prima incatenato a un palo e lasciato in balia dei flutti, poi spalmato di catrame per evitarne la decomposizione e appeso alla forca di Tilbury Point. E oggi? Dall´inizio di quest´anno, sono state uccise in mare diverse decine di corsari somali. Ma lo scorso maggio i marinai russi hanno fatto di peggio. Una volta liberata la petroliera "Università di Mosca", il capitano della nave anti-sommergibile "Maresciallo Shaposhikov" ha abbandonato su una zattera con pochi viveri e senza strumenti di navigazione i pirati responsabili dell´abbordaggio. I quali non hanno più fatto ritorno a terra.