MAURIZIO RICCI, la Repubblica 5/8/2010, 5 agosto 2010
GATES E IL CLUB DEI MILIARDARI "METÀ PATRIMONIO IN BENEFICENZA"
Ci sono dentro quasi tutti i più grandi: capitani di Silicon Valley come Bill Gates e Larry Ellison, gnomi di Wall Street come Ronald Perelman e Warren Buffett, corsari del venture capital come John Doerr, tycoon dei media come Ted Turner e Michael Bloomberg, avventurieri del petrolio e dell´energia come T. Boone Pickens.
Ognuno si impegna pubblicamente a destinare in beneficenza, nei prossimi anni, almeno metà del patrimonio accumulato in carriera. Si tratta del patrimonio personale, naturalmente, non quello delle loro aziende. Ma sono ugualmente decine e decine di miliardi di dollari. Che diventeranno, probabilmente, molte di più. A firmare l´impegno, infatti, sono stati finora una quarantina di straricchi. Ma, negli Usa, i miliardari sono più di 400 e restar fuori dalla lista non sarà facile, pena essere bollati come Scrooge, avari, per l´eternità.
Tutto nasce dall´appello, lanciato a giugno da due superricchi che già molto hanno dato in beneficenza come Bill Gates e Warren Buffett. L´appello, intitolato "L´impegno a dare", è stato firmato, nel giro di poche settimane, da 34 nomi di spicco del Gotha del capitalismo americano. In qualche modo, la lista è anche una mappa di questo capitalismo: finanza, informatica, informazione e intrattenimento. Sono questi i settori in cui, in questi anni, si sono formate le grandi fortune. Praticamente assente l´industria. Quasi tutti, anche, nuovi capitalisti: straricchi di prima generazione. Solo David Rockefeller, fra i firmatari, può vantare ascendenze familiari nell´aristocrazia del dollaro. Contemporaneamente, l´appello e le firme sono la testimonianza di una cultura peculiare del capitalismo americano, dove la beneficenza - come confermano le decine di fondazioni nate dai profitti di una lucrosa carriera in affari, da Carnegie a Ford a Rockefeller - è una costante che accompagna il successo: la spinta a restituire alla società almeno parte di ciò che, dalla società, si è avuto, fa parte della psicologia e dell´immaginario collettivo americani. Le lettere dei firmatari, raccolte sul sito www.thegivingpledge.com, raccontano tutte, più o meno, questa stessa storia.
Specchio di quella psicologia, il sistema fiscale, del resto, la traduce in generose esenzioni fiscali per i profitti destinati in beneficenza. Anche per questo, l´iniziativa sembra destinata a destare più impressione e sorpresa da questa parte dell´Atlantico, piuttosto che in America. Gran parte dei firmatari aveva già preso, pubblicamente o meno, l´impegno a devolvere gran parte del proprio patrimonio in beneficenza: il 95 per cento per Ellison, il 99 per cento per Buffett, ad esempio. Del resto, quello che rimane sono, spesso, svariati miliardi di dollari. E l´impegno sottoscritto non è particolarmente stringente: i soldi - ora, più avanti o anche dopo la morte - non saranno destinati a specifici progetti concordati, ma, più genericamente, alle iniziative di beneficenza a cui gli stessi straricchi avevano, probabilmente, già pensato.
Per quanto la promessa di future donazioni sia, in sé, ammirevole, l´annuncio della lista e della decisione collettiva ha, insomma, un po´ il sapore di una mossa di pubbliche relazioni: nel momento in cui la crisi economica picchia, l´americano medio si chiede se riuscirà a conservare casa e lavoro e non perde occasione di accusare dei suoi guai i grandi della finanza e del capitale, una dimostrazione in grande stile di generosità può ammorbidire gli umori. E, in qualche modo, anche giocare in contropiede. La tassa di successione, anche sulle grandi fortune, fu abolita all´inizio della presidenza Bush, nel quadro degli sgravi fiscali voluti dal presidente repubblicano. Ora, Obama e i democratici stanno discutendo se estendere gli sgravi e, in particolare, se ripristinare o meno la tassa di successione. Dichiarando fin d´ora che rinunceranno a gran parte del proprio patrimonio, i firmatari giocano d´anticipo, almeno agli occhi dell´opinione pubblica. E, nel caso di Gates e Buffett che, all´epoca, si opposero pubblicamente all´abolizione della tassa, dimostrano la loro coerenza nel credere che il capitalismo americano non abbia bisogno di rendite ereditarie.
Per ora, comunque, il gossip si concentra sui prossimi nomi della lista. Con una curiosità su tutte: accetterà Steve Jobs, il profeta della Apple, di incrociare, almeno questa volta, il suo cammino con quello di Bill Gates, l´artefice della Microsoft? La risposta degli esperti è: certamente no.