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 2010  agosto 05 Giovedì calendario

L’ECUADOR RINUNCIA ALLE TRIVELLE


Niente trivellazioni petrolifere nella riserva naturale di Yasuni, a nordest dell’Ecuador. Il paese sudamericano, con una decisione che va controcorrente, ha deciso di lasciare sottoterra gli 846 milioni di barili di oro nero che si trovano nel parco della foresta amazzonica. A titolo di compensazione il governo ecuadoregno ha però richiesto 3,6 miliardi di dollari (2,7 mld euro) alla comunità internazionale. È stato siglato un accordo con il Programma delle Nazioni Unite per lo sviluppo, finalizzato alla creazione di un fondo chiamato Yasuni Itt, dal nome dei tre giacimenti petroliferi Ishpingo, Tiputini e Tambococha.

Il fondo, amministrato dall’agenzia dell’Onu sotto il controllo del governo di Quito, capitale dell’Ecuador, raccoglierà e gestirà i soldi in arrivo da stati, imprese e individui che vorranno sostenere questo progetto innovativo di salvaguardia ambientale. Finora hanno aderito Germania, Spagna, Belgio, Francia e Svezia.

Il parco Yasuni, che si estende su una superficie di 950 mila ettari di giungla, costituisce una delle riserve di biodiversità più importanti del pianeta. Vi vivono ancora due popoli indiani isolati e nomadi. Il ministro ecuadoregno del patrimonio, Maria Fernanda Espinosa, afferma che la biodiversità appartiene al mondo intero, ma non sfruttare i giacimenti corrisponde a mancati introiti di grande entità per Quito: Yasuni rappresenta il 20% delle riserve complessive di greggio certificate nel paese.

La rinuncia alle trivellazioni significa un risparmio di 407 milioni di tonnellate di anidride carbonica: l’equivalente delle emissioni annue di un territorio come quello francese.

Sulla base del prezzo della tonnellata di carbone sul mercato dei diritti all’inquinamento, un’iniziativa nata per tutelare le risorse ambientali, il governo ecuadoregno ha stimato in circa 7 miliardi di dollari (5,3 mld euro) il valore delle mancate emissioni.

L’Ecuador chiede alla comunità mondiale di farsi carico di metà di questa cifra, pagabile in 12 anni.

La sottoscrizione dell’intesa in capo all’Onu è stata fatta per dare stabilità al progetto ed evitare che futuri governi cambino idea a cuor leggero. Una clausola prevede che, se l’Ecuador un giorno desse il permesso di estrarre petrolio, il paese sarebbe costretto a rimborsare alle nazioni donatrici e agli altri soggetti del fondo le somme impegnate.

Ma, secondo gli osservatori, la vera forza risiede nel sostegno convinto della popolazione locale: il 76% appoggia il piano. C’è però chi non è d’accordo: José Luis Zirit, presidente degli industriali idro-carboniferi, definisce l’iniziativa assurda e irrealistica.