MARCO ALBINO FERRARI, La Stampa 5/8/2010, pagina 23, 5 agosto 2010
Nel Polesine dove la miseria si mise in gioco - Il vento che arriva dal mare spinge di spalle facendo correre le ruote della bici lungo l’argine maestro
Nel Polesine dove la miseria si mise in gioco - Il vento che arriva dal mare spinge di spalle facendo correre le ruote della bici lungo l’argine maestro. Siamo ormai usciti dal Delta, dove il suolo era alla deriva verso l’Adriatico e i campi più bassi della costa. Eppure anche qui, ormai sulla terraferma, persiste un antico presentimento di precarietà che la storia recente non è riuscita a cancellare. Questa è la sub-regione del Polesine (da polìcinum, palude in latino), pianura alluvionale allungata come un corridoio tra Adige e Po (110 chilometri, tra i 16 e i 20 di larghezza), e tristemente nota per le sue catastrofi legate all’acqua che hanno compromesso la stabilità degli insediamenti umani. Terra un tempo schiacciata da una povertà inalterabile, dalla quale si scappava in cerca di lavoro, prima in Sudamerica poi verso l’industriale Nordovest. Oggi l’argine è possente, sicuro, e non ci sono più da temere le disastrose alluvioni del 1951 (84 morti e più di 180mila senzatetto), quando il fiume, libero di esondare, mostrò di cos’era capace la sua furia distruttiva. L’argine maestro si presenta come una sovrapposizione di bancate in terrapieno che terminano su una cresta sottile fatta apposta, sembra, per la pista ciclabile. E infatti dalla pista pare di essere su uno spettacolare terrazzo in movimento sul Po, con segnaletiche puntuali che indicano le golene più interessanti, e, qua e là, comode aree di sosta (persino le facciate delle chiese nei paesi sulla destra sono quasi tutte rivolte verso l’argine: sarà un caso?). Viene da pensare che la scia d’acqua là sotto possa essere - così come certamente sarebbe in Nord Europa - un’arteria per chiatte, barconi e house boat (le roulotte dei fiumi). Invece la navigazione sul Po è ancora poca cosa. Sfilano quattro navi passeggeri frequentate, lo dico con un po’ di rammarico, quasi solo da turisti stranieri. Tra le navi da crociera c’è la Vita Pugna (nomen omen?), un battello d’epoca, ho saputo, varato nel 1924 a Rotterdam. Collega Mantova a Venezia in otto giorni. Non male, a proposito di vacanza lenta! La particolarità dei viaggi sulla Vita Pugna è che oltre a farsi cullare sul fiume, i passeggeri ogni tanto sbarcano e si spostano lungo l’argine in bicicletta facendo tappa nei punti giusti. E tra questi punti giusti, a incuriosirmi è il paese di Bergantino, 35 chilometri a monte del ponte di Ferrara. Là, pare, si trovi un gioiello della memoria popolare: il Museo storico della giostra. Al museo, il direttore chiarisce subito che il divertimento, alle giostre, sta tutto in una sequenza di prove. Prove di coraggio, s’intende. «Come è la vita», afferma. In effetti non avevo mai pensato che nelle fiere, per divertirsi, ci si mette in gara contro le proprie paure. C’è la vertigine dell’ottovolante, l’angoscia della casa dei mostri, lo smarrimento della camera degli specchi, il sussulto dell’imprevisto che ogni luna park degno di rispetto mette in serbo ai suoi condannati. La materia merita un approfondimento. E chiedo subito al mio gentile interlocutore: «Ma cosa c’entra tutto questo col Po?». «C’entra, c’entra… Ora le spiego». Il direttore è un signore non più giovane, serio e formale, che potrebbe impersonare in un film un preside di campagna ai tempi di Don Camillo e Peppone. Ha una voce vellutata, parla adagio, come si rivolgesse a un gruppo di scolari in visita di studio. Si chiama Tommaso Zaghini e da 30 anni, mi spiega, raccoglie documenti sul tema del divertimento di piazza, cimeli, giostre antiche, organetti, manifesti. Nel 1999, con il Comune è riuscito a fondare il museo di Bergantino. Oggi siamo a duemila presenze all’anno. E ci sono importanti ampliamenti in vista. «Venga qua», mi ordina portandosi sotto le fauci aperte di un grande creatura fantastica disegnata intorno alla porta d’accesso. «Questo sopra di me è il mostro inghiottitore, l’ingresso del museo». E in effetti, già superare quella soglia, rifletto, rappresenta una sorta di prima prova di coraggio: il divoramento del candidato. «Il Po c’entra, perché la miseria da queste parti veniva proprio dal lui, dalle sue acque, dalle inondazioni. E quella che le sto per raccontare è una storia di miseria». Mi fa segno di seguirlo. Ci sediamo nel suo ufficio, dove, sulla parete al fondo si eleva fino al soffitto una gigantografia di Charlie Chaplin nei panni di Pierrot. Il direttore Zaghini si schiarisce la voce, e parte: «Siamo nel 1929, l’anno della grande crisi. E a soffrire di miseria non erano solo braccianti e contadini ma anche gli artigiani. Pensi che i meccanici di biciclette venivano pagati a fine anno, quando i contadini vendevano il raccolto… Due di questi meccanici, Umberto Favalli e Umberto Bacchiega fecero un incontro inaspettato. Era arrivata in una fiera qui vicino una novità assoluta dalla Francia: un’autopista elettrica! Con automobiline delle dimensioni di una scarpa che correvano su un circuito simile a quello di Monza nato pochi anni prima, nel 1922. Come le ho detto erano anni di miseria nera, eppure se qualcuno aveva qualche spicciolo lo spendeva per vivere l’illusione di guidare una macchina, che ai suoi occhi diventava vera. I due fiutano l’affare. “La giostra la facciamo anche noi!”», racconta il direttore imitando la voce del suo personaggio. «I due si danno da fare, progettano, costruiscono e si indebitando per la folle cifra di 60 mila lire. Il 24 aprile 1929, giorno della fiera di Bergantino, l’autopista smontabile è pronta! Ed è da lì che parte tutto. Pensi che il fenomeno ha avuto un tale sviluppo che nel 1970 le famiglie di giostrai ambulanti di Bergantino erano arrivate a 105, su una popolazione di 3 mila abitanti. I bergantinesi sono diventati viaggiatori spettacolisti itineranti. Partivano, e partono, in primavera, percorrendo sempre lo stesso itinerario, sempre in quel dato paese, sempre a quella fiera. E si è sviluppata anche l’attività di costruzione. Il nostro vanto è stata la giostra Aerei telecombattimento. Bellissima! Se la ricorda? Oggi Bergantino è parte di un distretto industriale che esporta per l’80 per cento. Siamo nella capitale mondiale della giostra!». «Scusi direttore, mi ha detto che tutto nasce dalla miseria, che quando pativano quasi la fame i paesani spendevano per le giostre? Invece di risparmiare giocavano alle macchinine? Ho capito bene?». «Certo che è così! Guardi che è quando c’è crisi che nasce il desiderio di svago. Si ricordi: il divertimento è sempre associato alla tragedia. Osservi Pierrot alle mie spalle, la sua bocca ride, ma i suoi occhi piangono. Non c’è riso se non c’è tragedia. E come ci insegnano le giostre, non c’è divertimento senza paura. Rifletta!». /Bergantino, in provincia di Rovigo e a 35 chilometri a monte del ponte di Ferrara, custodisce un gioiello della memoria popolare: il Museo storico della giostra. Il settore dei giochi fiorì come distrazione dalle sventure provenienti dalle inondazioni. Nel 1929, l’anno della grande crisi, a soffrire non erano solo i contadini, ma anche gli artigiani. Che venivano pagati a fine anno, dopo il raccolto, dai braccianti.