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 2010  agosto 05 Giovedì calendario

LA LEZIONE DEL KOSOVO SERVE AD AFFRONTARE IRAN E COREA

La decisione storica raggiunta dalla Corte internazionale di giustizia dell’Aia, che ha respinto la richiesta avanzata dalla Serbia di considerare illegittima la dichiarazione di indipendenza del Kosovo nel 2008, è passata quasi sotto silenzio nella stampa mondiale o tutt’al più è apparsa in articoli vibranti di falsi allarmismi su ipotetiche future secessioni. Con un simile precedente, sono stati in molti a lamentarsi, chi potrà fermare la Catalogna dal pretendere l’indipendenza dalla Spagna?
Questa interpretazione, tuttavia, è errata su due fronti. Tanto per cominciare, non esiste un mondo reale né ipotetico dove il Kosovo avrebbe potuto continuare ad essere amministrato da Belgrado, né tantomeno considerarsi parte della Serbia. Ricordiamo che i trattati internazionali, siglati nel secolo scorso all’indomani della Grande Guerra, avevano riconosciuto il Kosovo come parte della più ampia federazione jugoslava, e non come appendice unica di questa. Persino il vecchio partito comunista jugoslavo garantiva al Kosovo lo stato giuridico di regione autonoma nella costituzione del 1974. È stato invece il grande crimine — tra i tanti — dell’ex presidente serbo Slobodan Milosevic rinnegare questi due antichi accordi. Non appena salito al potere nel 1989, Milosevic ha cancellato l’autonomia del Kosovo, per poi fare a pezzi l’intera federazione jugoslava nel demenziale tentativo di sostituirla con una «Grande Serbia». Ricorrendo persino al genocidio per realizzare il suo sogno. L’indipendenza del Kosovo sancisce finalmente la sconfitta di una visione folle e sanguinaria.
Per quel che riguarda il «precedente», questione che con tanta insistenza e ipocrisia sollevano Russia e Cina, occorre chiedersi: «Quale precedente?». Mosca e Pechino hanno finanziato e armato il regime di Milosevic quando questi si affannava a restaurare una forma di fascismo etnico in Europa, ed entrambi hanno minoranze irrequiete al loro interno e vantano rivendicazioni territoriali sui paesi confinanti. Cambierebbero forse le loro posizioni sul Tibet o sulla Georgia, qualora la Corte internazionale dell’Aia si fosse pronunciata in un senso o nell’altro? La domanda si risponde da sola. È risibile vedere questi regimi far mostra di impensierirsi per i pronunciamenti della legge internazionale.
Ma che ne sarebbe allora di Catalogna, regione basca, Québec e Scozia? La Storia ci insegna che le minoranze, all’interno di nazioni più grandi, non intraprendono affatto alla leggera la strada della secessione. Se la Spagna, il Canada o il Regno Unito trattassero le proprie minoranze con la brutalità, il disprezzo e il pregiudizio con cui la Serbia ha trattato il Kosovo, allora indubbiamente catalani, baschi, québecois e scozzesi si sarebbero ribellati da un pezzo. Ciò che sembra «frenare» il nazionalismo di queste minoranze, almeno in Europa, è l’attrazione comune verso una più vasta Unione Europea, che impone agli Stati membri il rispetto delle minoranze e delle regioni svantaggiate. (...)
Rischiamo di perdere qualcosa di molto importante se dimentichiamo il Kosovo e i drammatici eventi che hanno portato alla dichiarazione di indipendenza da parte dei suoi quasi due milioni di abitanti. A lungo oppressi e privati della benché minima parvenza di diritti umani e nazionali, costretti sotto la minaccia delle armi a salire sui treni della deportazione e tormentati con la minaccia assai credibile di sterminio di massa, gli abitanti del Kosovo sono stati infine salvati grazie a un intervento armato che è servito a fissare dei limiti al dilagare dell’illegalità e all’ottundimento delle coscienze. Non c’è petrolio in Kosovo. Nessuno ha tirato in ballo gli interessi nazionali di Israele. Non ci sono stati voti da conquistare, anzi. Gran parte delle vittime erano, e sono, di fede islamica. Per dirla nel modo meno imbarazzante possibile, l’onore americano ed europeo si è salvato in extremis, scongiurando la tremenda minaccia alla pace che incombeva sulla regione. Ma i cittadini serbi onesti e coraggiosi hanno saputo riconoscere anch’essi che così facendo sono stati spazzati via il pericolo e l’ignominia che gravavano sul loro Paese.
Questo per il passato. Oggi sembra incauto speculare fino a che punto un regime canaglia sia pronto a spingersi, contando sull’immunità da conseguenze e rappresaglie. Le guerre in Iraq e in Afghanistan hanno eroso la nostra fiducia. In Iran e Corea del Nord i dittatori hanno fiutato questo stato di cose, saggiano il terreno e spesso non trovano resistenza. Come nel caso del Kosovo, anche oggi possiamo star certi che Russia e Cina faranno del loro meglio per fornire scuse e assicurare finanziamenti. ( Traduzione di Rita Baldassarre)