Raffaella Polato, Corriere della Sera 5/8/2010, 5 agosto 2010
«MI SFILAI LA SCARPA CON LA CALZA BUCATA E LUI SI INNAMORÒ»
Era «un buco minuscolo, invisibile». Ma lei sapeva che c’era. E se poi ci risero su, Wanda e Salvatore, «io che un po’ civetta lo ero, confesso, che potevo fare? Avevo diciott’anni, l’avevo conosciuto un’ora prima: arrossii». Non compromise, quella calza di seta «forata in punta», l’idea che il signor Ferragamo si era fatto della signorina Miletti. Né evochi, l’immagine, chissà quali alcove. Era il salotto della casa di lei a Bonito, Irpinia, paese natale anche di lui. Era la fine degli anni 30 del secolo scorso. C’erano i parenti, attorno. E se fa strano che lui, Salvatore, appena entrato in quella casa di quel paese in cui non tornava da decenni, come prima cosa fece togliere a lei, Wanda, le scarpe, il cognome già spiega. Ferragamo. L’uomo che da anni ormai era per Hollywood «il calzolaio delle stelle». Il «ciabattino» che, tornato dalla California, aveva ricominciato a Firenze e da Firenze aveva rafforzato il suo mito là, America, forse prima ancora che qua. Italian style d’avanguardia. Genio. Sogno. Quel che Wanda, quel giorno, non sapeva era che il suo arrossire — per la vergogna di parere sciatta — aveva semmai colpito ancor più Salvatore. Le scarpe gliele aveva tolte per prenderle la misura, creare qualcosa ad hoc. E non così, tanto per ricambiare l’ospitalità. È che lei gli aveva aperto la porta «in attesa di papà» e lui un secondo dopo, rivolto alla sorella che lo accompagnava, decretò: This girl is going to be my wife. «Io l’inglese allora mica lo capivo» sorride adesso — ea 88 anni ancora con il filo di consapevole civetteria da diciottenne. «Però che fosse un complimento...». E come no. Dedicato a chi non crede ai colpi di fulmine: «Questa ragazza diventerà mia moglie». Accadde meno di un anno dopo. Riempì i 20 successivi. Si spezzò — «finire» è un verbo che alla signora non piace — mezzo secolo esatto fa. Il 7 agosto 1960 Salvatore Ferragamo muore. A Firenze, a casa Ferragamo e nel medievale Palazzo Spini Ferroni che è già sede della maison, non c’è soltanto il naturale, «enorme dolore». Ci sono sei figli: 18 anni la maggiore, 2 il più piccolo. C’è l’azienda, che «allora aveva solo cento operai» e oggi sono 2.700, «ma era l’orgoglio di Salvatore: per tutta la vita il suo sogno era stato creare le più belle scarpe del mondo, ci era riuscito, potevamo lasciare che finisse?». Ora, oggi, Wanda Ferragamo la fa facile. Prese in mano l’azienda, decisa a continuare «anche per i nostri figli, Salvatore voleva che lavorassero tutti uniti e così, grazie a Dio, è». Ammette che sì, certo i timori c’erano, «ma non ho mai pensato "non ce la faccio". Dio interviene, bisogna soltanto interpellarlo. Magari — e lo dice con un sorriso: fede sì, misticismi no — con Salvatore si parlano... Insomma, non lo so, da dove è arrivata la forza. So che ho capito che ce l’avremmo fatta quando, tre mesi dopo, da New York arrivò il compratore più importante, quello di Saks Fifth Avenue. Temevamo di non vederlo più. Invece si presentò puntale, comprò, stabilì: non avete niente di cui preoccuparvi, avete ispirazione per i prossimi vent’anni». È andata così. Wanda fa la spola con gli Usa, la primogenita, Fiamma, si occupa già delle collezioni, mano a mano entrano in azienda Giovanna, Ferruccio, Fulvia, Leonardo, Massimo. E anche qui avrebbero potuto esserci problemi: il capitalismo familiare è la forza dell’Italia, ma quante dinastie sono saltate perché, poi, figli o nipoti non vanno d’accordo? Un esempio solo per stare a Firenze e sempre nel «lusso»: i Gucci. «Io posso dirle solo come abbiamo fatto noi a restare uniti: nessuna differenza tra i fratelli. Mai. Ognuno ha un suo ruolo, però per il resto uguaglianza assoluta. Poi, sì, dipende anche dai figli: e io ringrazio Dio tutti i giorni per i miei». Con i quali la Ferragamo si è allargata al total look ma ha continuato a essere, pur in mezzo a una concorrenza che mezzo secolo fa non c’era, «calzolaio delle stelle». Nell’ufficio di Wanda c’è l’onorificenza della regina Elisabetta («Deve naturalmente portare solo scarpe inglesi, ma una sua dama ha la stessa misura e per lei le facciamo»: chissà poi chi le indossa davvero). O le foto con Audrey Hepburn, «amica vera fino alla fine». L’elenco che allora andava da Marilyn Monroe a Greta Garbo a Sophia Loren, oggi ha Nicole Kidman, Gwyneth Paltrow, Catherine Zeta-Jones, Jennifer Aniston. Sono solo «il traino», ovvio: non basterebbero a fare 620 milioni di ricavi. Né a pensare alla Borsa. «Che, sa, non mi vede entusiasta. Ma ormai tra nipoti e pronipoti siamo a quota 50 e qui c’è un patto di famiglia: mai più di due o tre per volta in azienda, sennò... La Borsa sarà un buon metro se qualcuno vorrà uscire». Certo non oggi, perc hé l a Grande Cri s i non è passata e, se guarda all’Italia, Wanda Ferragamo si descrive «desolata: gli italiani non sembrano amati dalle loro istituzioni, non c’è un disegno, soprattutto per i giovani». «Un guaio» grosso: «Pensi alla Cina». Fa paura, «per forza». A lei però fino a un certo punto: «Noi, il made in Italy, non potremo mai fare quei prezzi. Ma loro non potranno mai fare i nostri capolavori».