Massimo Gaggi, Corriere della Sera 5/8/2010, 5 agosto 2010
BILL GATES CONVINCE 39 SUPER-RICCHI A DONARE METÀ DEL LORO PATRIMONIO
La battaglia per chi ha la villa più sontuosa sulle spiagge degli Hamptons? Sfoggiare il jet privato, una flotta di elicotteri, il megayacht da cento metri? Tutti simboli arrugginiti: roba che, per i miliardari veri, sa ormai di vecchio, di 2007. Il nuovo «status symbol» dei super-ricchi è la turbofilantropia. Cioè essere abbastanza ricchi (e generosi) da finire nella lista dei miliardari della «giving pledge»: l’iniziativa di Bill Gates che ha chiesto a un buon numero di facoltosissimi suoi «pari», di impegnarsi a devolvere in beneficenza — durante la loro vita o al momento della morte — più della metà del loro patrimonio.
Il fondatore di Microsoft, che da due anni ha lasciato l’azienda nelle mani di Steve Ballmer ed è diventato un filantropo a tempo pieno, dapprima ha destinato gran parte del suo patrimonio in beneficenza, poi ha convinto l’altro super miliardario (e suo grande amico) Warren Buffett a fare altrettanto. L’«oracolo di Omaha» si è impegnato a cedere il 99 per cento dei suoi averi ed è già arrivato a buon punto, tanto da scendere precipitosamente (e senza rimpianti) dalla vetta della classifica degli uomini più ricchi del mondo. Da sei mesi a questa parte, poi, Bill ha cercato in una serie di cene semisegrete di fare nuovi adepti.
Fino a qualche giorno fa sembrava che la sua iniziativa avrebbe convinto soprattutto i giovani miliardari progressisti della Silicon Valley, anche perché l’insistenza con la quale Gates e Buffett battono sulla necessità di redistribuire la ricchezza accumulata dai miliardari, sulla iniquità del trasmettere tutto ai loro eredi, appare come una specie di «spot» a favore della reintroduzione dell’imposta di successione: un modo per restituire dignità a un tributo che era stato marginalizzato durante la presidenza di George Bush (nel 2010 è stato addirittura azzerato per le scelte fatte qualche anno fa dal governo r e pubbli c a no, mentre nel 2011 dovrebbe tornare in una misura non ancora ben definita).
Nella prima lista di 40 miliardari generosi resa nota ieri ci sono giovani e «grandi vecchi» del capitalismo Usa, progressisti e conservatori. Le adesioni meno sorprendenti, come detto, sono quelle che nascondo nella Silicon Valley e dintorni: Pierre Omidyar e Jeff Skoll, cofondatori di eBay, il re del «venture capital» John Doerr, Larry Ellison, fondatore di Oracle, il produttore cinematografico George Lucas, il costruttore californiano Eli Broad e Paul Allen, compagno di Gates nella fondazione di Microsoft. Ma a Bill hanno risposto positivamente anche molti grandi vecchi del capitalismo Usa: dal grande banchiere David Rockefeller a Sandy Weill, ex capo di Citigroup, dal sindaco di New York (e miliardario dell’industria dei media) Michael Bloomberg al fondatore della CNN, Ted Turner, passando per Ronald Perelman (Revlon), Barron Hilton (alberghi), Barry Diller e la moglie Diane von Furstenberg ( Expedia più moda).
Nell’elenco compaiono anche vari personaggi vicini ai repubblicani o comunque variamente associati al mondo conservatore: da Pete Peterson, cofondatore della società di «private equity» Blackstone al mitico petroliere texano T. Boone Pickens (recentemente convertito alle energie alternative a causa dei suoi investimenti miliardari nell’eolico).
Nel complesso, le promesse dei 40 miliardari ammontano a 600 miliardi di dollari: cifre da supermanovra economica, visto che quella straordinaria varata da Obama all’inizio del 2009 per far uscire gli Usa dalla recessione era di poco superiore agli 800 miliardi.