Evelina Santangelo, il Fatto Quotidiano 5/8/2010;, 5 agosto 2010
ORO NERO, L’ULTIMO NEMICO DELL’AMAZZONIA
Sono stati gli abitanti di Parinari a dare l’allarme a metà giugno, prima ancora del comunicato ufficiale della compagnia Pluspetrol: dalla chiatta Sanam III “assunta” dalla compagnia petrolifera argentina per il trasporto del greggio si sono riversati nel fiume Marañón 400 dei 5000 barili del carico. L’incidente (l’ennesimo, visto che solo nel 2009 ce ne furono 8 a carico della stessa compagnia) è accaduto in quel tratto di fiume che costeggia una delle più grandi riserve nazionali del Perú: la Reserva Nacional Pacaya-Samiria (20.800 chilometri quadrati, 40.000 abitanti circa). Di chiatte così, sui fiumi Ucayali e Marañón (che costeggiano la riserva) ce ne sono in quantità. Grandi pachidermi spesso decrepiti e stracarichi. L’unico mezzo disponibile per il trasporto merci nel bacino amazzonico nord orientale, l’unico mezzo di comunicazione per gli abitanti e i nativi dei villaggi e delle cittadine fluviali della regione di Loreto tra i porti di Pucallpa, Iquitos e Yurimaguas.
L’ultimo incidente:
400 barili nel fiume
INCIDENTI del genere non possonoaccadereperunasfortunata casualità. Te ne rendi conto subito se, piuttosto che goderti la selva tra aerei e idrovolanti,decididiaffrontarlacome la maggior parte dei residenti, imbarcandoti su una “lancia” per il trasporto di merci e di qualche centinaio di passeggeri impossibilitati a spostarsi diversamente. Proprio in unadiquestelanceochiatte(la Henry VII) ho viaggiato proprio qualche giorno prima “dell’incidente”, navigando sul rio Ucayali e sul Marañón, per arrivare da Pucallpa al villaggio di San Martin, nella riserva Pacaya-Samira. Viaggiando così, non ci si mette molto a intuire che prima del paradiso di natura incontaminata del mito amazzonico ci sarà un purgatorio che racconta la passione quotidiana di una selva aggredita e salvaguardata a malapena in riserve continuamente violate,nonsolodaibracconieri e dai tagliatori di legname, ma dalle scelte stesse di un governo che, al di là di ogni trovata propagandistica, firma decreti legge, come la contestatissima Ley de la Selva (un complesso di decreti ora solo temporaneamente sospesi, dopo le proteste durissime dei nativi e la repressione violenta dell’esercito che, violando la Convenzione per la salvaguarda dei diritti delle popolazioni native, legittima l’espropriazione e lo sfruttamento selvaggio delle risorse naturali del bacino amazzonico a favore delle grandi compagnie petrolifere. Questo purgatorio comincia già a Pucallpa (l’unica città dell’Amazzonia peruviana collegata a Lima da una strada asfaltata) nella zona del porto che, in una domenica qualsiasi è un concentrato inverosimile di desolazione e degrado: topi che scorrazzano nella spiaggia del maleçon sotto un’anonima piazza, altoparlanti fortissimi che diffondono per tutto il litorale ritmi latinoamericani, baracche sul punto di accartocciarsi su se stesse, cani randagi, file di capannoni di ferro e lamiera, camion e scaricatori di porto che vanno e vengono per interi giorni. E su tutto questobrulicarediuomini,animali e cose il volo nero degli avvoltoi in attesa. Anche il fiume, l’Ucayali, ha qui un’aria triste, giallognola e schiumosa. La selva “mitica” la vedi solo dopo un bel po’, come un miraggio lontano, mentre la chiatta si muove con una lentezza estenuante sull’acqua insidiosa che, nelle notti troppobuie,diventaimpossibileda navigare. Le cose non accadono sempre per un caso sfortunato: anche noi abbiamo rischiato di incagliarci una notte in cui non ci siamo fermati, navigando più o meno alla cieca. Né cadono per caso sul fiume gli oggetti che si vedono galleggiare: dalle bottiglie allo scatolame. Un lancio dopo l’altro dallacucina,dallemanideipasseggeri, come il più ordinario dei gesti. Come ovvio e ordinario è, nei villaggi in cui ci fermiamo , lavarsi in quello stesso fiume, pescarne i pesci, berne l’acqua. Una via di comunicazione lasciata all’incuria e una discarica a cielo aperto: montagne di segatura che sprofondano nell’acqua, nella cittadina fluviale di Requena.
Si dorme sul pontile
con il cellulare in tasca
QUESTO è il rio Ucayali visto dalla Henry VII tra carichi di merci che sembrano arrivare da mondi ed epoche diverse: galline legate per i piedi, maiali trascinaticomesacchi,blocchi di ghiaccio mantenuti per giorni dentro cumuli di segatura, caschi enormi di banane, moto fiammanti, frigoriferi incellophanati, casse di coca-cola, d’acqua minerale, grandi rotoli d’acciaio, materassi ortopedici. Mentre sulla Henry VII si dorme tutti indifferentemente in amache, ammassati in coperta o esposti agli scarafaggi e alle zanzare sul ponte. Si viaggia così, anche se si ha un cellulare in tasca (molti ce l’hanno) e un iPod da cui viene fuori una musica troppo melodica o qualche ritmo latino. La musica più ascoltata e trasmessa ovunque, almeno in questo spaccatodiPerú,anchedalpiccolo televisore con annesso videoregistratoreodvxchesene sta perennemente acceso in copertaalpuntochetivieneda pensarla come una forma di quei miti consolatori e compensatori di cui parla Vargas Llosa in Sueño y realidad de América Latina elaborati dal Vecchio mondo per restituire confortanti immagini del Sudamerica. Immagini riprese dagli stessi sudamericani, spesso preda di una sorta di rimozione. Quella rimozione che, con molta probabilità, nel 2011 porteràalpotereKeiko,lafiglia dell’ex dittatore pluri-condannato Fujimori.
La Pluspetrol “vuole”
la riserva naturale
COSÌ, quando dopo il viaggio estenuante arrivi finalmente nel cuore della riserva Pacaya-Samiria, nel villaggio di palafitte di San Martín, dove l’acqua negra del fiume splende come granito, ti sembra impossibile che anche quel villaggio, nel2001,siastatocolpitodaun disastro ecologico dovuto alle stesse identiche ragioni: 5.500 barili di greggio riversatisi nel Marañón da una chiatta della Pluspetrol. Una contaminazione di acque che provocò danni pesanti all’ecosistema, alla salute e all’economia dei Coca-ma e Cocamilla, le etnie che in questo spicchio di Amazzonia pacificamente vivono proprio dellaricchezzadiquelleacque: lì pescano, da lì prendono l’acqua da bere. E sembra impossibile che persino qui, in questo patrimonio a cielo aperto, possano trovare una qualche legittimazionegliappetitidella Pluspetrol che preme sul governo peruviano per ottenere l’autorizzazione sulla zona della riserva naturale. Le cose, gli incidenti, non accadono mai per caso se al governo stanno a cuore più gli interessi delle compagnie petrolifere, che la sorte della foresta. Dove, contro ogni mistificazione e “vulgata” non trovi tracce di primitivismo, ma i segni di un’idea differente del progresso, nel rispetto della foresta. Lo capisci girando per il villaggio punteggiato di cestini di legno per la raccolta differenziata (anche delle pile), lo capisci dai piccoli pannelli solari sistemati vicino ad alcune palafitte destinati ad alimentare una lampadina o l’unico telefono collettivo.
I nativi? Sono bilingue
e usano il computer
SI CAPISCE dal tipo di educazione che chiedono e hanno ottenuto solo in parte i Coca-ma di San Martín: educazione interculturale bilingue, studio della lingua inglese, dell’informatica. Si capisce soprattutto dal timore con cui le persone guardano all’indifferenza che si fa strada tra la piaga dell’analfabetismo ancora diffuso e il bisogno di lavorare, nelle fabbriche di legname, nei pozzi petroliferi, nei porti. “Queste terresonolacasadellafloraedella fauna che la abitano: considerati come un ospite privilegiato”, dice il biglietto di ingresso nella riserva. E l’attitudine di cui sembra vadano più orgogliosi le nostre guide locali è quel loro sapere nominare in modo appropriato le cose (minerali, fauna, flora) tramandandone la conoscenza per scongiurare il pericolo che tutto lì si trasformi in risorse da sfruttare.