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 2010  agosto 05 Giovedì calendario

Katyn, così l’Occidente ignorò la strage - Anticipiamo qui ampi stralci dell’articolo di Alberto Indeli­cato «Katyn e gli occidentali » pubblicato nel numero di luglio-agosto della rivista Nuova storia contemporanea , bi­mestrale di studi storici e politici in edicola da oggi

Katyn, così l’Occidente ignorò la strage - Anticipiamo qui ampi stralci dell’articolo di Alberto Indeli­cato «Katyn e gli occidentali » pubblicato nel numero di luglio-agosto della rivista Nuova storia contemporanea , bi­mestrale di studi storici e politici in edicola da oggi. Indeli­cato nel suo saggio ricostruisce le ragioni politiche che spin­sero gli Stati Uniti di Roosevelt e la Gran Bretagna di Chur­chill a ignorare la tragedia. *** Nella sua Storia del­la seconda guerra mondiale , Win­ston Churchill de­dica poche pagine al massacro di Ka­tyn. Egli racconta che ai primi di aprile del 1943 il generale Wlady­slaw Sikorski, capo del governo polacco in esilio a Londra, gli rife­rì di avere prove certe che 14.500 militari polacchi erano stati fatti massacrare dal governo sovieti­co. La notizia del rinvenimento delle fosse comuni dei polacchi uccisi era stata data qualche gior­no prima dal governo tedesco, le cui truppe ne avevano scoperto i cadaveri in grandi fosse comuni in varie località nei pressi di Ka­tyn durante la loro avanzata nel­la zona di Smolensk. Era il territo­ri­o che l’Urss aveva occupato nel­l’autunno del 1939 a seguito del­la spartizione decisa con il patto Ribbentrop-Molotov. I primi so­spetti di Sikorski risalivano tutta­via a due anni prima quando, concluso un accordo con i sovie­­tici, i polacchi avevano avuto la possibilità di creare un’armata per combattere contro i tede­schi. Il comando era stato affida­to al generale Wladyslaw An­ders, tirato opportunamente fuo­ri dal carcere della Lubianka, do­ve era stato rinchiuso e torturato nel 1939 dopo esser caduto pri­gioniero. Anders per costituire il suo esercito aveva ottenuto che fossero rilasciati dall’Urss un gran numero di soldati e ufficiali, ma si accorse che ne mancavano migliaia di altri, tra cui almeno al­cuni generali, che egli conosceva personalmente perché avevano fatto parte del suo Stato Maggio­re. Alle sue richieste di notizie le autorità sovietiche avevano dato risposte vaghe e contraddittorie. È vero - gli dissero - quei militari erano stati loro prigionieri, ma se ne erano poi perdute le tracce. [...] Dopo vari tentativi di ottenere risposte meno generiche tramite l’ambasciatore, Sikorski decise di affrontare la questione diretta­mente con Stalin, che lo ascoltò attentamente e alla fine avanzò l’ipotesi che,quando le truppe so­vietiche si erano ritirate per l’avanzata germanica,quegli uo­mini avventurosi, rimasti liberi dopo esser stati amnistiati, forse si erano trasferiti per conto loro in Manciuria. L’ipotesi era così balzana da lasciar stupefatti. [...] La scoperta e le rivelazioni te­desche nella primavera del 1943 avevano però riaperto il caso, di cui era stato investito anche Churchill. La sua risposta al pri­mo ministro polacco fu quasi irri­tata e non priva di cinismo: «Se sono morti, non potete far nulla per richiamarli in vita». In realtà i polacchi non volevano nessun miracolo, volevano soltanto co­noscere la sorte dei loro compa­trioti. In una lettera di quei giorni al suo ministro degli Affari Esteri Anthony Eden, Churchill scrisse: «Non dobbiamo continuare a gi­rare patologicamente attorno a tombe vecchie di tre anni vicino a Smolensk». [...] Il 13 aprile il governo tedesco, certo della responsabilità sovieti­ca, aveva proposto un’inchiesta internazionale neutrale, che i po­lacchi si dichiararono pronti ad accettare. Sikorski aveva addirit­tura già preso contatto con la Cro­ce Rossa Internazionale perché procedesse all’inchiesta. Chur­chill tacque sull’argomento, ma è evidente che egli aveva ferma­mente sconsigliato un simile pas­so, che comunque non portò a nulla perché la Croce Rossa Inter­nazionale pose come condizio­ne per il suo intervento che ci fos­se l’accordo di tutte le parti inte­ressate. [...] In mancanza di un’in­chiesta internazionale, i tede­schi ne organizzarono una per lo­ro conto, ricorrendo a dodici esperti di riconosciuta autorità scientifica, nessuno dei quali te­desco. Essa infatti non poté esse­re composta da cittadini di Stati neutrali-rimasti pochi nell’Euro­pa di quegli anni - ma, a parte uno scienziato svizzero, il profes­sor Nivelle, i suoi membri appar­tenevano a Paesi alleati dell’As­se, tra cui l’italiano Vincenzo Pal­mieri, direttore dell’istituto di medicina legale dell’università di Napoli. Il rapporto finale dei dodici membri confermò all’una­ni­mità la tesi dei tedeschi sulla ba­se di vari elementi obiettivi, a co­minciare dalla data- autunno-in­verno 1939- della morte violenta delle vittime. Tutte portavano in­dumenti pesanti e alcune aveva­no in tasca quotidiani di data non successiva al 1939. Anche una commissione della Croce Rossa polacca, autorizzata dai te­deschi a indagare, giunse agli stessi risultati. [...] Le ragioni che durante la guer­ra avevano spinto Churchill a ignorare la tragedia di Katyn vale­vano ovviamente anche per Franklin Delano Roosevelt. Tut­tavia il caso di quest’ultimo è più complesso sotto diversi punti di vista. Il presidente degli Stati Uni­t­i aveva avuto numerose segnala­zioni, oltre a quelle fornitegli da Churchill e dai rappresentanti uf­ficiali polacchi a Washington. Il suo ambasciatore a Mosca, Ave­rell Harriman, gli aveva segnala­to già nell’inverno del 1942 - pri­ma dunque della scoperta delle fosse comuni - la «possibilità» che i sovietici fossero colpevoli della sparizione di migliaia di po­lacchi. Il tenente colonnello Hen­ry Szymanski, ufficiale america­no di collegamento con l’eserci­to polacco in Medio Oriente, ave­va f­ornito altre informazioni nel­lo stesso senso al suo superiore, il generale George Strong, capo della intelligence dell’esercito americano nella regione, che le aveva trasmesse a Washington. Non si può escludere che quelle segnalazioni fossero influenzate dagli ambienti militari polacchi, ma proprio un emissario specia­le per le questioni balcaniche, il capitano George Howard Earle, espressamente incaricato da Ro­osevelt di indagare, gli aveva for­nit­o informazioni sicure sulle re­sponsabilità sovietiche del mas­sacro basate sulle testimonianze dei suoi contatti in Romania e Bulgaria. Uno, l’autorevole pro­fessore Marko Markov di Sofia, era tra gli esperti della commis­sione d’inchiesta nominata dai tedeschi. Earle aveva ottenuto e trasmesso persino delle fotogra­fie delle fosse e dei cadaveri esu­mati. Tutto quel materiale im­pressionò Roosevelt soltanto nel senso che egli si affrettò a porvi il sigillo della segretezza, non sen­za rimproverare Earle per essere caduto in una trappola tedesca: «Non hai capito che si tratta di propaganda e di un complotto dei tedeschi? Sono assolutamen­te convinto - aggiunse - che non sono stati i russi a commettere il crimine». A Earle ordinò quindi di non occuparsi più della que­stione, neanche a titolo privato, e di non fare parola con nessuno di ciò che aveva scoperto. Inoltre lo spedì nelle isole Samoa dove l’im­p­rudente capitano sarebbe rima­sto sino alla fine della guerra. [...] Terminato il conflitto euro­peo, i polacchi avrebbero potuto sperare che la questione dei loro ufficiali massacrati a Katyn fosse affrontata in maniera obiettiva, cosa che si rivelò subito impossi­bile. Il loro Paese era stato occu­pato dai sovietici, che a Jalta ave­vano ottenuto che tutti i partiti permessi e l’opinione pubblica, la stampa, la radio, avessero in Polonia un orientamento «antifa­scista » e amichevole nei confron­ti dell’Urss.