Daniele Abbiati, il Giornale 5/8/2010, pagina 14, 5 agosto 2010
Ma la vita è bella anche senza la patente - Ogni mattina, mi fissa con due occhioni tristi e spenti
Ma la vita è bella anche senza la patente - Ogni mattina, mi fissa con due occhioni tristi e spenti. «Portami a fare un giro», pare che implori, «come fanno tutti gli altri. Magari non al mare, o in montagna, non chiedo tanto. Mi basterebbe cambiare un po’ aria per una mezz’oretta: Quarto Oggiaro, San Siro...». E ogni mattina io mi limito a darle una controllatina, giusto per verificare che sia ancora tutta intera e in buona salute, che qualche gentiluomo non l’abbia danneggiata. Poi,evitando accuratamente d’incrociare lo sguardo dei suoi occhioni bovini, mi volto e vado a prendere il tram. E il bello è che non provo il minimo senso di colpa, lo faccio per il suo bene (in fondo lei se ne sta 24 ore su 24 al fresco,all’ombra di due alberi), per il mio e per quello di tutti: pedoni o automobilisti. Sono un filantropo? No, molto meno, sono semplicemente uno che non usa la macchina. Posso permettermelo e mi piace permettermelo, quindi, perché dovrei negarmi questo spicchio di libertà? Casa-lavoro, lavoro-casa, supermarket, trattoria, vacanza, amici, commissioni varie ed eventuali ( si spera sempre non urgenti, ma per quelle eventualmente esistono i taxi): mi sono costruito una rete di destinazioni che esentano dall’uso della mia trappolina a quattro ruote. Ci sono i mezzi pubblici e ci sono i treni. Certo, devi assecondarli, devi accettarne le bizze, i guasti, i ritardi, gli scioperi. E poi esistono anche (sempre siano lodate, finché funzionano, e gratis) le gambe, almeno per i percorsi cittadini. Non sono mica l’unico, in queste condizioni. Lo capisco da certi tipi che vedo sul tram due volte al giorno: sono evidentemente autisti rinsaviti. Dapprima armeggiano con la macchinetta obliteratrice, che per loro racchiude più segreti di un carburatore; poi vagano reggendosi «agli appositi sostegni », come se fosse un diktat del codice della strada. I più, quatti quatti, finiscono per posteggiarsi dalle parti del guidatore che, lo sanno tutti, «non deve essere distratto dalla manovra». Infatti loro non lo distraggono, per carità, però seguono rapiti i movimenti delle sue braccia, e non si capacitano di come si possa accelerare e frenare a mano senza essere in motocicletta, e addirittura suonare il clacson, anzi la campanella, con il piede destro,e soprattutto senza smoccolare all’indirizzo degli avversari delle altre corsie. Vivere senza automobile, non dico che si debba, ma si può. La patente ( pardon , il permis de conduire ) resta un alter ego della carta d’identità. E avercela, una vettura, anche se di poche pretese, ti conferma che sei un membro dell’umano consorzio. Però, se la giungla cittadina si chiama così da quarant’anni, e non ci sono Ztl, bollini multicolori, pass avvelenati e dissuasori che tengano, un motivo ci sarà. C’è, infatti, ed è il malinteso spirito d’indipendenza. Esco, salto in macchina e chi s’è visto, s’è visto, andate tutti al diavolo:così ragiona l’ homo automobilisticus . Non gl’importa che il suo destriero stazioni ben distante dallo zerbino di casa, né che debba a lungo zampettare incerto nel traffico usando un decimo dei suoi cavalli, né che poi, giunti a destinazione, gli si debba trovare un ricovero. Ciò che conta è la libertà d’azione: sedersi alla guida ripaga l’ homo automobilisticus di ogni stropicciamento dei nervi. Lui non conosce il piacere che si prova a fare una revisione... a occhio ogni mattina. Basta solo non guardare due fanali che quasi lacrimano.