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 2010  agosto 05 Giovedì calendario

Ma la vita è bella anche senza la patente - Ogni mattina, mi fissa con due occhioni tristi e spenti

Ma la vita è bella anche senza la patente - Ogni mattina, mi fissa con due occhioni tristi e spenti. «Portami a fare un giro», pare che implori, «come fanno tutti gli altri. Ma­gari non al mare, o in montagna, non chie­do tanto. Mi basterebbe cambiare un po’ aria per una mezz’oretta: Quarto Oggiaro, San Siro...». E ogni mattina io mi limito a dar­le una controllatina, giusto per verificare che sia ancora tutta intera e in buona salute, che qualche gentiluomo non l’abbia dan­neggiata. Poi,evitando accuratamente d’in­crociare lo sguardo dei suoi occhioni bovi­ni, mi volto e vado a prendere il tram. E il bello è che non provo il minimo senso di col­pa, lo faccio per il suo bene (in fondo lei se ne sta 24 ore su 24 al fresco,all’ombra di due alberi), per il mio e per quello di tutti: pedo­ni o automobilisti. Sono un filantropo? No, molto meno, sono semplicemente uno che non usa la macchina. Posso permettermelo e mi piace permettermelo, quindi, perché dovrei negarmi questo spicchio di libertà? Casa-lavoro, lavoro-casa, supermarket, trattoria, vacanza, amici, commissioni va­rie ed eventuali ( si spera sempre non urgen­ti, ma per quelle eventualmente esistono i taxi): mi sono costruito una rete di destina­zioni che esentano dall’uso della mia trap­polina a quattro ruote. Ci sono i mezzi pub­blici e ci sono i treni. Certo, devi assecondar­li, devi accettarne le bizze, i guasti, i ritardi, gli scioperi. E poi esistono anche (sempre siano lodate, finché funzionano, e gratis) le gambe, almeno per i percorsi cittadini. Non sono mica l’unico, in queste condi­zioni. Lo capisco da certi tipi che vedo sul tram due volte al giorno: sono evidentemen­te autisti rinsaviti. Dapprima armeggiano con la macchinetta obliteratrice, che per lo­ro racchiude più segreti di un carburatore; poi vagano reggendosi «agli appositi soste­gni », come se fosse un diktat del codice del­la strada. I più, quatti quatti, finiscono per posteggiarsi dalle parti del guidatore che, lo sanno tutti, «non deve essere distratto dalla manovra». Infatti loro non lo distraggono, per carità, però seguono rapiti i movimenti delle sue braccia, e non si capacitano di co­me si possa accelerare e frenare a mano sen­za essere in motocicletta, e addirittura suo­nare il clacson, anzi la campanella, con il piede destro,e soprattutto senza smoccola­r­e all’indirizzo degli avversari delle altre cor­sie. Vivere senza automobile, non dico che si debba, ma si può. La patente ( pardon , il per­mis de conduire ) resta un alter ego della car­ta d’identità. E avercela, una vettura, anche se di poche pretese, ti conferma che sei un membro dell’umano consorzio. Però, se la giungla cittadina si chiama così da qua­rant’anni, e non ci sono Ztl, bollini multico­lori, pass avvelenati e dissuasori che tenga­no, un motivo ci sarà. C’è, infatti, ed è il ma­linteso spirito d’indipendenza. Esco, salto in macchina e chi s’è visto, s’è visto, andate tutti al diavolo:così ragiona l’ homo automo­bilisticus . Non gl’importa che il suo destrie­ro stazioni ben distante dallo zerbino di ca­sa, né che debba a lungo zampettare incerto nel traffico usando un decimo dei suoi caval­­li, né che poi, giunti a destinazione, gli si deb­ba trovare un ricovero. Ciò che conta è la libertà d’azione: sedersi alla guida ripaga l’ homo automobilisticus di ogni stropiccia­mento dei nervi. Lui non conosce il piacere che si prova a fare una revisione... a occhio ogni mattina. Basta solo non guardare due fanali che qua­si lacrimano.