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 2010  agosto 05 Giovedì calendario

Morto Ventura, l’uomo dei segreti di Piazza Fontana - Giovanni Ventura non è vissuto abbastanza per vede­re la fine delle indagini sulla strage di piazza Fontana a Mi­lano

Morto Ventura, l’uomo dei segreti di Piazza Fontana - Giovanni Ventura non è vissuto abbastanza per vede­re la fine delle indagini sulla strage di piazza Fontana a Mi­lano. L’editore padovano,fon­datore di «Ordine Nuovo» nel Veneto, condannato all’erga­stolo e poi assolto per la bom­ba del 12 dicembre 1969 alla Banca Nazionale dell’Agricol­tura, ha chiuso i suoi giorni ter­reni a Buenos Aires, l’altro ieri, a 65 anni: dopo una serie di vo­ci e di smentite, la conferma è stata fornita dalla sorella, a Pa­dova. Se ne va così un altro pro­tagonista delle indagini sul massacro che inaugurò la stra­tegia della tensione: prima di lui, nel luglio di otto anni fa, era morto l’anarchico Pietro Valpreda. Eppure, a quasi qua­rantun anni dalla bomba, il ca­pitolo piazza Fontana per la giustizia è ancora aperto. Un fascicolo a carico di igno­ti per il reato di strage è stato aperto recentemente dalla Procura di Milano ed è nelle mani del procuratore aggiun­to Armando Spataro. L’inchie­sta nasce da un libro del giorna­lista Paolo Cucchiarelli, in cui si sosteneva una «terza pista» che assommava le due ipotesi - apparentemente divergenti ­seguite dopo la bomba: quella della responsabilità degli anar­chici, imboccata subito dopo la strage, e quella dell’attenta­to neofascista, imboccata dal­la Procura di Milano e ripresa poi nell’inchiesta bis iniziata alla fine degli anni Ottanta. Se­condo questa pista, erano vere entrambe: la bomba sarebbe stata messa da Valpreda ma doveva esplodere a banca chiusa, invece ambienti neofa­scisti ispirati dai servizi segreti manomisero il timer. E fu la strage. Ma in questa nuova in­chiesta l’unico indagato è per ora l’autore del libro, incrimi­nato da Spataro per non avere voluto rivelare le sue fonti. Per il momento, dunque, la strage è ancora «a opera di ignoti». Ventura era stato inda­gato nel 1973 su iniziativa del giudice istruttore padovano Stiz e poi del suo collega mila­nese Gerardo D’Ambrosio, in­sieme al suo camerata Franco Freda, anche lui dirigente di Ordine Nuovo. Al termine di un percorso processuale lun­go e accidentato, erano stati entrambi assolti. Stessa sorte per Pietro Valpreda,l’anarchi­co. Ma il nome di Freda e Ventu­ra era riapparso negli atti d’in­dagine sul 12 dicembre. Il giu­dice istruttore Guido Salvini aveva riaperto l’inchiesta, in­criminando come autori del massacro un gruppo di ordino­visti veneti guidati dal medico Carlo Maria Maggi. Freda e Ventura non vennero formal­mente indagati in quanto già assolti in via definitiva: ma i ca­pi d’imputazione contro Mag­gi e gli altri davano per sconta­to che avessero agito «in con­corso con Freda Franco e Ven­tura Giovanni». Neanche l’in­chiesta bis resse al vaglio dei processi: dopo gli ergastoli in­flitti in primo grado, tutti gli im­putati vennero assolti in appel­lo e in Cassazione. Solo nei confronti di Freda e Ventura, che si erano ritrovati in un certo senso imputati per interposta persona e senza po­tersi in alcun modo difendere, la sentenza della Cassazione pronunciava una sorta di con­danna virtuale. «Il giudizio cir­ca la responsabilità di Freda e Ventura- si legge nelle motiva­zioni - in ordine alla strage di Piazza Fontana non può che essere uno: la risposta è positi­va ».