Eliana Di Caro, Il Sole-24 Ore 5/8/2010;, 5 agosto 2010
DISSOLTI I TRE QUARTI DELLA MAREA NERA
Per Barack Obama non ci poteva essere miglior regalo di compleanno: ieri, nel giorno dei suoi 49 anni, l’incubo Bp è sembrato finalmente dissolversi, la gigantesca macchia di petrolio destinata a sparire con un impatto ambientale meno drammatico del previsto, il sigillo di fango e cemento sul pozzo sicuro come pochi altri.
Una svolta, una successione di belle notizie attese come la manna dal cielo dopo l’esplosione della piattaforma Deepwater Horizon che il 20 aprile costò la vita a 11 operai, riversando ogni giorno nelle acque del Golfo del Messico migliaia di barili di petrolio. Un incidente che presto ha assunto le proporzioni della peggiore catastrofe ambientale nella storia americana: proprio martedì scorso il governo aveva quantificato in 4,9 milioni di barili la fuoriuscita di greggio dal pozzo al largo della Louisiana.
Ma ieri è giunto l’annuncio che ha portato il sorriso sul volto del presidente spingendolo a dire che «la lunga battaglia per fermare la perdita e contenere il petrolio finalmente è vicina alla fine »:la prima fase dell’operazione Static Kill, cioè l’iniezione di fango per tappare la bocca del pozzo Macondo, ha avuto successo, dopo i tanti tentativi falliti delle scorse settimane. Lo ha comunicato Bp, definendo il risultato una «pietra miliare» (pur specificando che un esito definitivo si potrà ottenere solo a metà agosto): otto ore dopo l’intervento,«il pozzo viene sorvegliato per assicurare che la pressione resti stabile», ha detto la società da Londra, aggiungendo che «sulla base di questo monitoraggio si capirà se saranno necessarie nuove iniezioni di fango o meno». La prossima fase di Static Kill dovrebbe essere l’inserimento di cemento nel pozzo, ma si valuterà in seguito se e quando procedere.
A suscitare ulteriore ottimismo è stato un rapporto della National Oceanic and Atmospheric Administration, l’agenzia governativa che sin dal primo giorno della perdita ha esaminato la chiazza nera. Per quanto possa sembrare incredibile, a meno di quattro mesi dall’esplosione i tre quarti del petrolio fuoriuscito sarebbero già spariti, solo il 26% di greggio è ancora sopra o appena sotto la superficie del mare, raccolto in forma di catrame sulla spiaggia o sepolto sotto la sabbia. Il restante 74% è in parte evaporato, in parte è stato aspirato, bruciato o sciolto dai solventi chimici. Al rapporto si è dedicato un pool costituito dai 25 migliori scienziati ed esperti del governo e indipendenti. Entrando nel dettaglio, un 33% del greggio è stato eliminato dall’uomo - assorbito dalle pompe idrauliche, bruciato attraverso i fuochi controllati, aspirato direttamente dal pozzo, aggredito con sostanze chimiche; un 41% è sparito per cause naturali, evaporando nell’atmosfera o disperdendosi nell’acqua in particelle microscopiche.
«Madre natura ha fatto la sua parte- ha commentato la consulente per l’energia della Casa Bianca, Carol Browner- e continuerà a favorire la scomposizione », riferendosi anche alle temperature calde e ai favorevoli livelli di ossigeno citati nel rapporto che facilitano questo processo. I risultati illustrati nel documento sono stati accolti da Barack Obama come «una buona notizia». Tuttavia non si possono dimenticare o sminuire gli enormi danni all’ambiente, come sottolineano le associazioni ecologiste e la popolazione che viveva di pesca. L’inquinamento della zona resta gravissimo e lo ammette anche Jane Lubchenco, leader della National Oceanic and Atmospheric Administration: «Al momento - ha detto al New York Times- non è ancora possibile capire con precisione l’impatto che questa perdita ha avuto e continuerà ad avere sull’ecosistema e per la persone che vivono sulla costa». La comunità scientifica è concorde nel ritenere che non nasceranno più in questa zona, non si sa per quanti anni ancora, pesci, gamberi e granchi.
Il 26% del petrolio ancora presente nel Golfo del Messico (1,3 milioni di barili) è comunque una quantità cinque volte superiore a quella del disastro della Exxon Valdez nel marzo del 1989, quando la petroliera si arenò sulle coste dell’Alaska.