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 2010  agosto 01 Domenica calendario

«CERCO LA PERFEZIONE E ME NE FREGO DEL PUBBLICO»

[Intervista a Franco Battiato]
«Ritornare a sud per seguire il mio destino, la prossima tappa del mio cammino in me». Questi versi appartengono alla canzone “Giubbe rosse”, che Franco Battiato incise nel 1989, quando aveva da poco deciso, dopo circa 25 anni di vita milanese (durante la quale seppe trasformarsi da emigrante meridionale di belle speranze in uno dei nomi più importanti della musica contemporanea), di ristabilirsi nella natia Sicilia. Ed è proprio in una villa poco distante dal centro di Milo, con lo Jonio da una parte e l’Etna dall’altra, che Battiato ancora oggi abita, dedicandosi all’arte, alla meditazione, alla contemplazione della natura, ma soprattutto a quella che da sempre è la sua vera ragione di vita: la conoscenza e la cura di sé. Fresco reduce da un trionfale concerto presso il castello di Fénis, in Val d’Aosta, e prossimo a iniziare la composizione di un’opera musicale sul filosofo cosentino Bernardino Telesio, Battiato appare assai attratto, in questo momento, dal progetto del suo quarto film da regista.
Dai tuoi precedenti tre lavori cinematografici, “Perdutoamor” (2003), “Musikanten” (2005) e “Niente è come sembra” (2007), emerge una cifra stilistica molto personale, tant’è vero che questi film hanno generato reazioni estreme in chi li ha visti: o grande interesse o rifiuto. Quando hai scelto di cimentarti con il cinema ti sei ispirato a qualche autore in particolare?
«Ho cominciato a fare cinema otto anni fa, senza avere mai studiato tecnica cinematografica, ma avendo le idee molto chiare su ciò di cui volevo parlare e su come parlarne. In fondo, ho solo cambiato linguaggio, affiancando a quello musicale quello cinematografico, ma la mia poetica non è mutata. Il mio gusto, se così vogliamo chiamarlo, era già ben delineato: il mio atteggiamento è di apertura verso qualunque consiglio possa dare nutrimento e forza alla mia idea di cinema, ma senza che quest’ultima ne risulti mai scalfita o violentata».
La tecnica, però, è importante.
«Certamente, e infatti un bel po’ di mestiere me lo sono fatto provando sul campo, prima di cominciare a girare un film, sia varie tecniche di ripresa sia l’impiego di strumenti diversi. Con il secondo lungometraggio, “Musikanten”, dedicato agli ultimi anni di vita di Beethoven, ho compiuto tutti gli esperimenti possibili e immaginabili, arrivando a utilizzare una minuscola telecamera che si chiama “lipstick” (rossetto), il cui costo è di soli mille euro!». I tuoi collaboratori non hanno mai opposto resistenza a tanto anticonformismo formale? «Come no. Mi è accaduto spesso di confrontarmi su questa o quell’altra scelta, ma è un fatto normale: i luoghi comuni sono sempre difficili da estirpare».
Veniamo al tuo nuovo film, che è in fase di progettazione. Per ora quel che se ne sa è che sarà imperniato sulla figura del musicista tedesco Georg Friedrich Händel, uno dei grandi geni del Barocco.
«Sì, ma il film non riguarderà soltanto Händel. La mia ambizione è di realizzare una sorta di affresco storicamente ineccepibile di un periodo che è stato di enorme fermento culturale e che, nella musica, ha visto all’opera ingegni di valore assoluto come gli italiani Arcangelo Corelli e Giovanni Bononcini. Artisti di livello altissimo che oggi, per la grande maggioranza della gente, sono dei perfetti sconosciuti». Quanto ti sei documentato per preparare il film?
«In una maniera che definirei spietata. Mi sono letto un’ottantina di libri di cui alcuni in inglese, altri in francese e altri ancora in spagnolo. Oltre a quelli in italiano, ovviamente.
Non sopporto l’approssimazione e faccio di tutto per combatterla». Da chi sarà composto il cast artistico del film?
«La parte ambientata in Italia la farò recitare ad attori italiani. Un ruolo, piccolo ma molto divertente, sarà di Giulio Brogi. Poi ho già preso contatti con diversi attori stranieri, ottenendo per adesso la disponibilità a partecipare di Susan Sarandon e Willem Dafoe. Naturalmente la cosa fondamentale, giunti a questo punto, è riuscire a chiudere il budget, che per un film del genere è per forza di cose piuttosto oneroso».
Nella musica hai compiuto un autentico miracolo sapendo essere al contempo pop ed elitario: hai raggiunto milioni di persone con una musica raffinata e contenuti impegnativi, talvolta mascherati dietro l’aspetto di canzonette. La stessa alchimia, per ora, non ti è riuscita con il cinema.
«Il mio attuale fare cinema è simile agli inizi della mia carriera musicale, quando non mi curavo del pubblico e avevo in effetti un seguito di nicchia. In tal modo ho potuto perseguire in piena libertà l’obiettivo di trattare i potenziali destinatari del mio lavoro con il massimo rispetto, comunicando cose elevate. Il film su Händel, tuttavia, avrà un’impostazione più tradizionale, con una consequenzialità maggiore specialmente dal punto di vista cronologico. Inoltre sono d’accordo con quanto disse una volta il pianista Alexis Weissenberg: se in una sala gremita sono riuscito a emozionare davvero almeno una persona, allora il mio risultato è raggiunto».
Oltre ai libri che ti servono come documentazione per il tuo lavoro, cosa ti piace leggere? «Direi soprattutto testi di misticismo. È il mio vizio».
Del cinema italiano attuale cosa pensi? «C’è qualcosa di buono e altro che mi piace meno. Una tendenza degli ultimi tempi che apprezzo poco è quella di mitizzare, anche solo facendoli interpretare da attori di gradevole aspetto, figure estremamente negative della storia italiana. Totò Riina, per esempio. È probabile che molti, vedendo lo sceneggiato sul giovane boss, abbiano finito per fare il tifo per lui, magari perché è uno che “si è fatto da solo”. Dimenticando il piccolo particolare che ha ammazzato decine di persone».
Qualche anno fa il giornalista Maurizio Blondet ha scritto un libro, Gli Adelphi della dissoluzione, in cui ti annovera, con Roberto Calasso e altri, fra gli adepti di una lobby iniziatica di ispirazione pagana. C’è qualcosa di vero?
«Quel libro è spazzatura. Altrove, per esempio negli Stati Uniti, chi scrive panzane di questo genere poi deve risarcire a suon di milioni coloro che ha calunniato. Ma siamo in Italia. Purtroppo questi argomenti assurdi li aveva ripresi di recente, in un suo libro, anche il povero Edmondo Berselli. Tuttavia non porto rancore per questo genere di cose. Anzi, quando è morto ho pregato per lui».