Attilio Barbieri, Libero 1/8/2010, 1 agosto 2010
IL SUD PEGGIO DELLA GRECIA
Meridione a passo di lumaca. Mentre il Nord della Penisola pur con grande fatica prova a scrollarsi di dosso i postumi della recessione, il Meridione procede sempre con il freno tirato. Un’ulteriore conferma che il gap fra le due Italie si sta allargano viene da un documento dell’Istat depositato questa settimana in Parlamento nell’ambito degli approfondimenti sul federalismo fiscale. I dati rappresentano l’ennesima conferma che quell’Italia «duale», come la definisce il ministro dell’Economia Giulio Tremonti, esiste e procede su percorsi destinati ad allontanare ulteriormente le due macroaree del Paese.
Il prodotto interno lordo nel Sud vale praticamente la metà rispetto a quello del Nord: a fronte dei 17.900 euro pro capite di ricchezza prodotta nel Mezzogiorno, al Nord il Pil vale oltre 31.000 euro a persona. Cenerentola d’Italia è la Campania dove il Pil pro-capite arriva appena a 16.900 euro. All’estremo opposto la provincia autonoma di Bolzano con 34.400 euro, seguita da Valle d’Aosta (33.800 euro ad abitante),
Lombardia (33.600), Emilia Romagna (32.400), Provincia di Trento (31.100) e Lazio (30.600).
In fondo a questa classifica Puglia, Sicilia e Calabria con poco più di 17mila euro procapite di Pil e la Campania.
La situazione non migliora se si guarda al reddito disponibile delle famiglie: al Mezzogiorno è pari al 64,1% rispetto a quello del Centro-Nord. In pratica un abitante del Sud può spendere o investire circa il 36% in meno rispetto a quanto fa un italiano residente nel Settentrione.
Se poi estendiamo il confronto a livello internazionale arrivano altre sorprese. Con i 17mila euro scarsi di Pil per abitante il Sud viene addirittura dopo la disastrata Grecia e il febbricitante Portogallo quanto a capacità di produrre ricchezza diffusa e appena sopra, non di molto, a Malta.
Naturalmente la classifica stilata dall’Istat non tiene conto dell’evasione fiscale che in talune zone del Paese raggiunge proporzioni vicine al 30% del Pil ufficiale. Questo però non migliora la valutazione. Sulle regioni settentrionali pesa l’onere di finanziare il Welfare, soprattutto attraverso
il gettito dell’Iva, trasferita massicciamente nel Sud per coprire i costi della sanità. Tutto ciò avviene naturalmente in una logica di ridistribuzione della ricchezza. Da chi sta meglio a chi sta peggio. Ma il meccanismo dimostra di non funzionare se l’obiettivo è quello di riequilibrare il divario fra Nord e Sud. «Il nostro è già un Paese duale e non vogliamo che si spacchi», ha detto per l’ennesima volta proprio in settimana il ministro Tremonti, «di certo si spaccherà se continueranno le politiche messe in atto finora».
Il confronto è impietoso anche se dalla ricchezza prodotta, si sposta la lente sull’import-export.
La «vulnerabilità», come la definisce lo stesso istituto di statistica, delle Regioni del Mezzogiorno emerge anche dalle tabelle riguardanti l’interscambio commerciale. La dipendenza dall’estero, ovvero il saldo tra esportazioni e importazioni in percentuale del prodotto interno lordo, per l’Italia è dell’1,3%. Ma a fronte di un saldo positivo di quasi tutte le regioni del Nord, è negativo, addirittura al 21,8%, nel Mezzogiorno. Con punte del 30,3% e del 27,5% in Calabria e in Sicilia. A dimostrazione che la frattura fra le due Italie non esiste soltanto nella capacità di essere produttive. Purtroppo.