Cristiana Lodi, 1/8/2010, 1 agosto 2010
CROLLA UNA CASA COSTRUITA SU UNA GROTTA I VICINI AFFITTANO I BALCONI PER LE FOTO
Passa la seconda barella e una calca sudata prova a sfondare il cordone della polizia. Un donnone alza la ciabatta sulla testa di un pompiere che scava. Chiagne e urla, il donnone. Urla e chiagne, ma non per Pasquale che sta sulla barella ucciso dal tufo. Chiagne e urla perché Afragola tutta si comporta così. Il disordine nel disordine, davanti al crollo del palazzo di via Calvanese che aveva le travi marce e il solaio bellamente costruito sopra. Nonostante i legni fossero lì dagli anni Quaranta, dice il sindaco Vincenzo Nespoli. Il senso di ribellione inutile e la rabbia del popolo che monta, solo perché i barellieri non mostrano i cadaveri. Poco importa che i corpi trascinati via fra due ali di folla e i fischi e le grida, non siano i familiari di chi protesta. Importante è chiagnere e urlare. E non farsi scappare il business.
«Venit’accà, saglite ’ncoppa addò mmé. Ma cà se pave pe scattà.../ Venite qua, salite su da me. Ma sappiate che per scattare si paga». Hanno affittato i balconi ai fotografi e ai cameraman, i dirimpettai del palazzo crollato. Ecco come reagisce Afragola, davanti alla tragedia. Sceneggiate inconcludenti, ma funzionali a come le cose vengono amministrate. Qui, nella metropoli degradata come a Frattamaggiore o a Casoria e nella Campania intera. Da queste parti non si è vista la compostezza dell’Aquila terremotata, né quella di Sarno affogata nel fango. Ad Afragola si nota solo la disgregazione della società a tutti i livelli. Il livore della città natale di Bassolino contro la polizia, le istituzioni e i rappresentanti dello Stato. Anche se i rappresentanti dello Stato sono loro. Due facce di un’unica medaglia. È il livore di una città dove il 50 per cento della popolazione ha avuto a che fare, almeno per una volta nella vita, con la giustizia penale. È il livore di una città dove il 60 per cento delle attività imprenditoriali si svolge nel più totale abusivismo. È il livore di chi lamenta: «Berlusconi ha ripulito Napoli e ora nemmeno più i trasportatori abusivi di rifiuti putim-
me fa». È il livore di chi grida e chiagne davanti ai defunti e contro i pompieri e le forze dell’ordine soltanto perché sono lì, a portata di mano. Sembra di vedere le mogli dei contrabbandieri o dei camorristi quando protestano contro lo Stato.
Enrica Tromba è riuscita ad abbracciare il marito Pasquale Zanfardino prima di morire, aveva 29 anni, lui 33. Li hanno trovati così, stretti l’uno all’altra sotto le pietre e il cemento. Aspettavano un bambino, Enrica era in quattro mesi e già si vedeva. Anche Anna Cuccurillo di 75 anni è morta, lei sapeva e lo diceva tutti i giorni che la sua casa sarebbe venuta giù. Perché intorno era tutto marcio e non era servito tinteggiare a nuovo, come avevano voluto i coniugi Zanfardino. Però Anna si portava lì a dormire la nipotina Inna di dieci anni. Lei è stata la sola a salvarsi, il crollo l’ha spinta già in una buca. Una specie di enorme caverna. Lo stesso vuoto sul quale la palazzina fatiscente che era una stalla, fu costruita settanta anni fa. All’anagrafe figuravano anche i nomi di tre immigrati come abitanti del palazzo. L’altra notte non c’erano per fortuna. L’incubo di Afragola era cominciato con un fulmine, seguito da un boato che ha fermato l’orologio, rimasto minacciosamente appeso alla parete comune dell’edificio, sull’una e un quarto. L’ora del crollo. L’ora in cui hanno cominciato a montare le grida e il senso di ribellione disordinata della gente. Un tecnico mostra la trave marcia sbucata dalle macerie. E sgombra il campo da ogni interrogativo sulle cause. Non c’entra la conformazione porosa del sottosuolo. Non c’entra la pioggia. È stato un cedimento strutturale. Eppure qui si pensa a gridare a chiagnere. «Vulit’ è fotografì? E quant’ m’rate?/ Volete le foto? E quanto mi date?». Trenta euro. Da negoziare.