Andrea Di Consoli, Il Riformista 4/8/2010, 4 agosto 2010
I RISCHI DELLA RETE NO ALL’ENCICLOPEDIA MODELLO WIKIPEDIA
Sono già usciti i primi quattro volumi – su sei totali – di un nuovo e ambizioso lavoro enciclopedico diretto dallo storico della filosofia Tullio Gregory. Si chiama XXI Secolo, ed è pubblicato dall’Istituto della Enciclopedia Italiana (Treccani). Si tratta di un “portolano” per orientarsi nel grande mare del decennio appena trascorso. Vi si affrontano, grazie a saggi di studiosi quali Federico Rampini, Franco Cardini, Lucio Caracciolo, Giulio Ferroni, Vittorio Gregotti, Luca Serianni, Piero Boitani, Danilo Zolo e Sabino Cassese, i maggiori temi e problemi dei primi nove anni di questo decennio, dalla geopolitica al diritto internazionale, dall’arte alla letteratura, dal paesaggio all’architettura, dalla bioetica alla religione, dalla comunicazione alla filosofia, dal cinema alla scienza. Un lavoro ambizioso, quello messo in cantiere da Gregory, una sorta di sfida (per qualità, rigore, vastità di contenuti e profondità di analisi) alla deriva incerta e oscillante dell’imperante “modello Wikipedia”. Proprio in occasione dell’uscita dei primi quattro volumi di XXI Secolo abbiamo rivolto alcune domande a Tullio Gregory.
Professor Gregory, la filologia, lo studio del passato, le ristampe di libri antichi, gli stessi libri, sono sempre più spesso considerati inattuali. È stata mai così inattuale la cultura?
Se uno intende ciò che è attuale come una bevuta di Coca-Cola, allora è chiaro che tutto il lavoro scientifico è inattuale. Io dico che è attuale tutto ciò che pretende di durare nel tempo. Se rovesciamo i termini del problema, allora succede che quello che è considerato inattuale è invece attuale nella mente di chi lo pensa. Si può fare un libro su Tucidide, ma con la testa di oggi – essendo, appunto, attuali. Dobbiamo però stabilire bene cosa è inattuale o cosa è attuale. Attuale è quello che si usa e si getta? Se è così, allora, è ovvio che uso Wikipedia, anche se non so mai se quello che leggo è filologicamente corretto. Mentre invece se voglio dire o leggere una cosa che mi aiuta davvero a capire e a conoscere, e questo bisogno lo consideriamo inattuale, allora va bene, siamo tutti inattuali. Se però la moda è l’approssimazione, allora sì che siamo tutti inattuali. Io però vorrei rifiutare questa opposizione tra inattuale buono e attuale cattivo, e dire che è attuale tutto quello che mi serve a capire l’attualità dei problemi.
In questo senso per orientarsi nell’ultimo decennio non sarebbe male leggere i sei volumi di “XXI secolo” da lei diretto. Ma, appunto, non è uno strumento un po’ “inattuale” quello dell’enciclopedia?
Già vent’anni fa i profeti di sventura annunciavano la fine della carta. In realtà i libri si sono moltiplicati, altro che scomparsi. È chiaro che se io voglio una informazione approssimativa sull’oggi la vado a prendere sulla rete; se invece voglio uno strumento per capire davvero l’oggi, allora mi affido alla carta stampata, a volumi come quelli della Treccani. Prendiamo i fondamenti del diritto internazionale. Sulla rete nessun sito affronterà mai questo tema. I libri sì, lo affrontano. Noi, per esempio, lo abbiamo fatto.
Professore, la Rete proprio non la convince.
Oggi la rete è un grande strumento di informazione e di diffusione di notizie. Ma è afflitta da tanti problemi, per esempio dall’impossibilità di controllare tutti questi dati che proliferano in continuazione. Inoltre, la Rete si presta a manovre che possono manipolare l’opinione pubblica. E questi sono due problemi gravissimi.
A leggere i primi quattro volumi di “XXI Secolo” ci si accorge di quanto sia complicato orientarsi nei tanti fenomeni ed eventi di questo primo decennio. Avere un “portolano” ragionato, perciò, diventa indispensabile. Come valuta questo primo decennio del nuovo secolo e del nuovo millennio?
Noi abbiamo due grande fuochi, in questo decennio: il crollo delle Torri Gemelle del 2001, e la crisi economica e finanziaria del 2008. Due fatti che hanno sconvolto il mondo, e che avvengono entrambi nella capitale del capitalismo occidentale. Poi ci sono altri fenomeni: si pensi all’emergere di queste nuove potenze – l’India e la Cina – che hanno modificato gli equilibri internazionali. E si pensi a quante guerre dimenticate che ci sono; in Africa, per esempio. Pensi infine ai fenomeni di grande ricchezza e al progressivo impoverimento di larghe fasce di popolazione. I simboli più terribili di questa crescente disparità sono le città divise tra quartieri ricchi e baraccopoli degradate.
E il sentire religioso, il dibattito teologico, insomma, la religiosità, come si sono espresse in questo primo decennio?
Noi assistiamo a una generale caduta del sacro, almeno così mi sembra. Dall’altro lato assistiamo a una sempre crescente attenzione, per esempio nella religione cristiana, a temi quali la vita e la morte, e quindi alla bioetica. Non ci sono più gli antichi dibattiti sulla trinità o sull’incarnazione, ma, appunto, sulla vita e sulla morte, perché è su questi temi che ormai si definisce l’importanza delle religioni.
E la politica, com’è stata la politica di questo decennio?
Nei paesi più moderni, che sono anche i paesi più laici, si è creata una vera convivenza tra le diversità e le differenze. Siamo però in un momento in cui gli stati nazionali hanno perso le loro caratteristiche storiche, perché le loro contese sono ormai internazionali, e lo Stato com’era inteso in passato risulta fortemente indebolito. Questo non è un male, purché, s’intende, ci sia virtù civile nella gestione delle controversie.
Che aria si è respirata in questi ultimi anni?
Si ha l’impressione che il mondo si sia fortemente incattivito. Si ricorda il primo G7 del 1980 a Venezia? I capi di Stato e i ministri giravano senza scorta e senza bodyguard. Oggi, invece, si sono moltiplicate le scorte, i sistemi di sicurezza, e questo indica che il mondo si è incattivito. E poi le guerre endemiche sono aumentate. Sì, ne sono convinto: in questi ultimi anni il mondo si è incattivito.
Tornando ai sei volumi di “XXI Secolo”. Dica la verità, le piacerebbe se le famiglie italiane tornassero ad acquistare come un tempo – magari a rate – le enciclopedie della Treccani?
Guardi che tutto questo ancora succede. Pensi che di XXI Secolo ne vendiamo 20 copie al giorno. Ma si deve avere più fiducia nella cultura, e non si deve assolutamente soccombere all’aziendalismo. Perché si ricordi sempre che la cultura è redditizia, ma solo se non si appiattisce sul puro conteggio economico.