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 2010  agosto 04 Mercoledì calendario

NAZISTI IN MONGOLIA PECHINO ALLARMATA DA UN’ALTRA “GUERRA”

Hitler come Gengis Khan? A sentire le parole degli ultra-nazionalisti della Mongolia sembra proprio di sì. Peccato che nei Campi di concentramento in cui si compiva l’Olocausto siano morti diversi soldati sovietici che avevano caratteristiche somatiche “mongole”. Ma i neo-nazisti di Ulan Bataar, la capitale della Mongolia, sembrano disinteressarsene e hanno scelto di adottare in tutto e per tutto la simbologia nazista delle Ss hitleriane.
Paccottiglia folkloristica o reale allarme? Per il quotidiano inglese The Guardian si tratterebbe di un «pericoloso sentimento ultra-nazionalista», che potrebbe far sfociare le parate e lo scimmiottamento delle abitudini e della propaganda nazista in qualcosa di potenzialmente violento. Il nemico da combattere per i neo-nazi della Mongolia è da sempre e solo uno: l’Impero Celeste. Da Ulan Bataar si guarda con odio e disprezzo verso Pechino e in condizioni di estrema povertà e di grave disagio sociale, i gruppuscoli nazisti fanno incetta di sostegno e di consensi. Oggi, con la crisi economica in pieno atto, ancora di più. Ma era sin dal 2002 che il campanello d’allarme aveva cominciato a trillare.
In quell’anno l’ex rappresentante della Mongolia presso le Nazioni Unite aveva dichiarato in un suo intervento al Palazzo di Vetro: «La mia delegazione desidera sottolineare il fatto che il razzismo, la discriminazione razziale, la xenofobia e la conseguente intolleranza sono elementi strettamente legati a fattori socio-economici. Diseguali condizioni economiche e sociali possono alimentare e far crescere razzismo e discriminazione, mentre una riduzione della povertà e del tasso di disoccupazione avrebbe un effetto positivo sulla protezione dei diritti umani». Praticamente, la fotografia edulcorata del panorama nel quale oggi fioriscono i gruppi neo-nazi in Mongolia. Un problema per Pechino, che potrebbe vedere riaprirsi un “fronte” mai pienamente sopìto.
Al momento in Mongolia esistono quattro gruppi ultra-nazionalisti, tutti “registrati” come Ong. Quello che ha più seguaci è il “Dayar Mongol” (traducibile come “Tutta la Mongolia”), un’organizzazione salita agli “onori” della cronaca durante gli scontri del 1 luglio 2008, tra lavoratori mongoli e forze di sicurezza cinesi; in quella occasione il gruppo marciò di fronte agli uffici della polizia. Nella loro agenda il motto: «Aiutiamo e salviamo la gente». Ma solo “certa” gente. Quella di “razza” mongola. «Noi odiamo i cinesi, i coreani e i vietnamiti», dichiarava nello stesso anno in un’intervista all’Ub Post il leader di Dayar Mongol, «perché fanno un sacco di cose illegali come il traffico degli esseri umani, le droghe e la prostituzione». E continuava: «Siamo contro l’influenza cinese perché è pericolosa per la sicurezza nazionale della Mongolia».
Insomma, retorica da ultra-nazionalisti, che potrebbe essere facilmente accantonata come un’orrida sottospecie di folklore se negli ultimi mesi gli Stati Uniti non avessero diramato l’allarme. Sostanzialmente, gli Usa avvertono le “coppie miste” americane di stare in guardia, vista la presenza di «gruppi pericolosi e presumibilmente violenti» nel Paese. «Se il nostro sangue si mischia con quello degli stranieri - ha più volte detto il leader di Dayar Mongol - noi potremmo essere distrutti immediatamente». Un’ossessione “ariana” che ha già fatto una vittima. Il fidanzato della sorella del capo del movimento nazi “Blu Mongolia” è stato ucciso per aver studiato in Cina e, quindi, essere stato sostanzialmente “contaminato” dal nemico. Le ragazze che vengono sorprese con ragazzi cinesi o di altra etnia vengono punite con il taglio dei capelli, una forma di umiliazione profonda per una donna asiatica.
Loro giocano a fare gli scherzosi. Sostengono che non ucciderebbero mai degli esseri umani e che quello a cui si “limitano” è tagliare i capelli a chi non sta in riga e si “mischia” con gli stranieri. Ma, intanto, si addestrano militarmente nelle arti marziali e nell’utilizzo di armi, a corredo dei saluti e dell’iconografia nazista.
«Non ne so molto di neo-nazi mongoli - dice al Riformista il professor Richard Breitman, storico dell’American University di Washington e tra i maggiori studiosi della storia nazista -, ma vedo più di qualche coincidenza tra Hitler e Gengis Khan. Credo che sia Hitler che Himmler fossero influenzati dalla sua biografia, tanto da farla studiare agli ufficiali delle Ss». Cosa che sostanzia il lanciato allarme mongolo.