Camillo Langone, Libero 3/8/2010, 3 agosto 2010
CONSIGLI DI LETTURA ALLA TROTA E AI SUOI PER UN’ESTATE PADANA
Immagino non abbia molto tempo per leggere, Luca Zaia, e se riuscisse a ritagliarsi un’ora di ombrellone a Caorle non me la sentirei di appesantirgliela con l’ultimo premio Strega: Canale Mussolini è un fior di romanzo intessuto di dialetto, Antonio Pennacchi un signor scrittore da sempre fedele al popolo veneto-pontino, ma sono 460 pagine, diamine! «La brevità dell’espressione, in mezzo alla moltitudine delle quistioni che affollano il mondo attuale, è diventata indispensabile», scriveva Carlo Dossi oltre un secolo fa: parole ancor più giuste oggi che la «moltitudine delle quistioni» è ulteriormente cresciuta. E allora quali letture consigliare al presidente della Regione Veneto e ovviamente a Renzo Bossi e agli altri politici leghisti e a tutto il popolo glocal e local, agli amanti dei campanili e delle piccole patrie?
Comincerei con un romanzo che si abbina alla presente stagione come una camicia di lino bianco, Un’estate fa di Camilla Baresani (Bompiani): autrice bresciana, protagonista veronese e uno sguardo critico verso la Roma magna-magna. Moderatamente critico, sia chiaro: io avrei scritto di molto peggio. Ma i romani hanno la coda di paglia ed è bastato poco perché Barbara Palombelli togliesse il saluto all’autrice. È bastato scrivere: «Scoprivo la vita romana, accanto ad Arnaldo, che me la faceva sembrare un inanellarsi di pranzi al sole, sulla terrazza di qualche ristorante». Non bisognava dirlo: per far contenta Mamma Roma si doveva scrivere che all’interno del raccordo anulare tutti lavorano indefessamente per il bene supremo della Nazione, saltando pure i pasti. Anche Un’estate fa è piuttosto corpulento, 349 pagine, ma agli amici lettori svelo un segreto: basta scavalcare i capitoli scritti in caratteri diversi
(corsivo e bastone sono usati per divagazioni non essenziali) ed ecco a voi un libro quasi smilzo. Spero di aver convinto chiunque viva al di sopra della Linea Gotica a sostenere la scrittrice di Desenzano: una speranza per la letteratura federalista.
Libro ancor più padanista è "Mi sono iscritto nel registro degli indagati di Maurizio Milani (Rizzoli)", che prima si vedeva in televisione da Fabio Fazio ma poi è stato sgamato ed espulso per incompatibilità ideologica: perché Milani quello che dice lo pensa, il suo non è cabaret, è satira. Strutturato in brevi paragrafi è l’ideale per chi anche in piena estate è impegnato in mille telefonate: non c’è una storia di cui si rischia di perdere il filo, ci sono le battute a ruota libera di un quarantenne lombardo alle prese con una burocrazia soffocante. Stavolta più che a Roma il nemico è a Bruxelles: «Per un convinto democratico la cosa che lo fa più vacillare è vedere al telegiornale il Parlamento europeo nella sua interezza. È impressionante! Ma quanti eurodeputati ci sono!».
Ce ne sono troppi, ovvio, e producono troppe leggi, ideologiche e nocive. I bersagli preferiti delle surreali battute milanesiane sono l’allarmismo climatico e l’ambientalismo scervellato: «Con l’ecologia spinta siamo arrivati che ho dovuto inventare una mietitrebbia che va a olio di colza. Un pieno di carburante per farla andare costa di più di quello che la macchina mi raccoglie. Dimmi te se conviene fare un lavoro del genere». Non poteva mancare il problema-immigrazione: «Vado in banca e il direttore nuovo è cinese. Non cambia niente, l’unica cosa è che l’importo dell’assegno lo devi scrivere in cinese». Ed è per frasi come questa che non si lavora più in Rai.
Quest’estate i territorialisti, anche e soprattutto di destra, hanno il miglior alleato in un assessore provinciale di Prato, quindi centro-sinistra. Possibile? Certo, se l’assessore in questione è un ex industriale tessile che ha dovuto spegnere i telai per colpa della concorrenza asiatica. Edoardo Nesi in Storia della mia gente (Bompiani) attacca a muso duro i cantori della globalizzazione, capaci di declamare in ogni intervista «il dogma bambinesco che la totale liberalizzazione degli scambi commerciali avrebbe portato al mondo più vantaggi che svantaggi». Bambineschi (e colpevoli) sono quindi Fassino (firmatario del Wto) e Giavazzi e Monti (suoi spalleggiatori sulle pagine del Corriere). «Mentre il distretto pratese e tutta l’Italia del tessile sono entrati da tempo in una crisi forse irreversibile dovuta alla libera circolazione mondiale dei tessuti cinesi, proprio a Prato, nei capannoni lasciati vuoti dalle microaziende fallite dei pratesi, si è installata una delle comunità cinesi più grandi d’Europa, che prospera arruolando manodopera clandestina e confezionando capi d’abbigliamento con tessuti che importa dalla Cina e ha tutto il diritto di marchiare i propri cenci Made in Italy». Quando si chiude questo libro, scritto con lingua non di industriale né di economista ma di scrittore vero, viene una voglia pazza di protezionismo e di frontiere non chiuse bensì s-i-g-i-l-l-a-t-e.
Per ultimo uno scrittore veneto, Vitaliano Trevisan, antileghista per principio come tutti gli scrittori veneti ma osservatore talmente acuto da arrivare, su determinate questioni, ad accusare la Lega di non essere abbastanza Lega. Consiglio a Zaia e a chi milita sotto San Marco di leggersi almeno il capitolo “Rifacimenti” di Tristissimi giardini (Laterza), in cui Trevisan descrive gli immigrati nigeriani come amanti dell’ordine e odiatori dei marocchini. Gli africani neri pare siano tendenzialmente di destra, sostenitori dell’immigrazione selettiva e delle maniere forti perché in Nigeria le ronde «le fanno veramente, non come qua». Con i libri giusti si scoprono nuovi bacini elettorali e stimoli per iniziative più incisive: sprecare agosto a leggere Camilleri e Lucarelli sarebbe prima di tutto un errore politico.