Andrea Carandini, Corriere della Sera 4/8/2010; Stefano Bucci, Corriere della Sera 4/8/2010, 4 agosto 2010
TROPPE IPOCRISIE SUI BRONZI DI RIACE
Ogni volta che si tocca il tema Bronzi di Riace ( accanto la gammagrafia del volto del «Giovane» ) non si riesce a ragionare. Quegli oggetti sono diventati feticci, impregnati oramai di sentimenti intensi e estremi. Mai come in questo caso è arduo giudicare serenamente, evitando d’essere parrucconi o pasticcioni. Tanto per usare una frase ad effetto degna di «Dr. House» o di «Grey’s Anatomy» si potrebbe dire che i pazienti sono stabilizzati. Ma gli acciacchi dei due Bronzi di Riace, stando ai risultati del check-up effettuato dai tecnici dell’Istituto centrale per la conservazione e il restauro (Iscr) in collaborazione con la Soprintendenza archeologica della Calabria, restano. Anzi le nuove analisi — come documenta il «Corriere» — li hanno in qualche modo definitivamente precisati: prima di tutto i reumatismi (ma forse si potrebbe parlare anche di artrosi) che toccano, come insegnano i trattati di patologia umana, in particolare, le giunture; e quindi collo, spalle, polsi. In pratica i punti di saldatura tra le varie parti che compongono le due statue; ovvero: testa, tronco, braccia, mani, gambe.
Da oggi il gruppo di lavoro (guidato da Gisella Capponi, direttrice dell’Iscr, con la soprintendente ai beni archeologici della Calabria Simonetta Bonomi) si concentrerà (in quel laboratorio-acquario di Palazzo Campanella a Reggio Calabria in cui «Il Giovane» e «Il Vecchio» rimarranno parcheggiati, ma comunque visibili al pubblico, fino alla riapertura della loro vera casa, il Museo nazionale di Reggio Calabria) su zone meno «a rischio» (ad esempio i fianchi). Il vero obiettivo è adesso la pelle o meglio la patina che riveste i due capolavori «di provenienza greca, magnogreca o siciliota» (due metri d’altezza, databili intorno al V secolo a.C., ripescati il 16 agosto del 1972 nello Jonio davanti a Riace). Spiega Roberto Ciabattoni, responsabile della direzione e del coordinamento della logistica e della diagnostica: «L’intervento sulla patina è necessario, perché dopo quello di ripulitura effettuato a Firenze subito dopo il recupero, non è stata più curata. Dopo quarant’anni è dunque tempo di farlo perché dal suo buono stato dipende anche la condizione generale dei Bronzi». Proprio come accade agli uomini con la pelle.
A dare un aiuto ai restauratori (una quindicina in tutto) è stata l’esperienza di un «cugino» dei due Bronzi definiti anche come «A» («Il Giovane») e «B» («Il Vecchio»): quel «Satiro danzante» attualmente esposto a Mazara del Vallo. Anche lui ripescato dal mare e anche lui immediatamente trasformato in una star mediatica: va infatti ricordato che da dicembre i visitatori del laboratorio aperto a Palazzo Campanella (dove le due statue appaiono stese proprio come su un tavolo chirurgico) sono quadruplicati, arrivando a luglio a quota 80mila (scolaresche comprese) mentre durante i sei mesi della prima esposizione al pubblico, nel 1980 al Museo Archeologico di Firenze, furono 600 mila e un milioni quelli nel loro primo anno a Reggio (il 1981). Al recente restauro del «Satiro» si deve, appunto, la decisione di progettare «una serie di nuovi supporti, in carbonio e kevlar, per lo spostamento e l’appoggio delle due statue, capaci di smistare il loro peso, 180 chili circa, su tutta l’intera superficie e non solo su una parte ristretta. E questo appunto per preservare la patina». Spiega Ciabattoni che, a differenza del «Satiro» («che ci è arrivato subito dopo il recupero»), nel caso dei Bronzi «non è stato invece ancora possibile chiarire i tempi precisi della permanenza in mare».
Nelle indagini in corso, che dovrebbero terminare tra gennaio e febbraio giusto in tempo per poter permettere la loro collocazione nella sede rinnovata del Museo Archeologico, è stata poi usata per la prima volta con i due «Bronzi» (identificati a seconda delle ipotesi come atleti, personaggi storici, figure mitologiche dei Sette a Tebe) la tecnica della gammagrafia, una procedura di derivazione industriale che, oltre a consentire la realizzazione di immagini affascinanti (come questa in alto che il «Corriere» pubblica in anteprima), «ha confermato l’esistenza di punti di corrosione ancora attiva nonostante il costante controllo dei restauratori» (altri punti deboli sono tutti quelli dove sono state applicate fusioni successive, come dei capelli e del pube).
Anche in questo caso le ultime novità (curioso ad esempio il fatto che in tutte le statue il dito medio dei piedi sia stato applicato successivamente) arrivano come conseguenza dei precedenti restauri effettuati dall’Iscr: subito dopo l’arrivo a Reggio le due statue vennero svuotate dalla terra di fusione e di tutto quello che vi era contenuto come peli, semi, frammenti lignei. Proprio questo svuotamento ha permesso oggi di inserire all’interno dei due bronzi la fonte radioattiva (grande come una pastiglia) che consente, grazie appunto alla gammagrafia, di impressionare direttamente un’unica lastra fornendo immagini di straordinaria suggestione. «Così — chiarisce Ciabattoni — si è potuto collocare esattamente la fessura nel bronzo del Vecchio che con i raggi X sembrava essere invece sulla schiena, e che si è invece rivelata essere sulla parte anteriore del torso».
Andrea Carandini
NON FACCIAMONE DEI FETICISTI
Da tempo la tutela è stata esercitata per i conoscitori e la colta élite borghese, come se non fosse girata la macina della storia. Sono stati dimenticati i visitatori reali e potenziali di oggi, numerosissimi, poco istruiti e curiosi. «Entrano e nulla intendono», ho sentito dire della mostra romana di Caravaggio, davanti a code di cinque ore. Credo che mettere per la prima volta anche solo il piede in una mostra sia un progresso. Esiste insomma una nuova élite potenziale, che emerge dall’immane ceto medio, cui la televisione volgare e la musica sfonda-timpani ormai dispiacciono e che cercano alternative, anche culturali. È un’occasione da non perdere.
Per questa ragione ho visto con favore la Direzione generale per la valorizzazione, voluta dal ministro Bondi, e il fatto che a dirigerla fosse stato chiamato un outsider, che è riuscito a mettere meglio a fuoco quanto era rimasto nell’ombra. D’altra parte, osservo nelle Soprintendenze una mentalità più aperta. Ad esempio, si stanno approntando per la prima volta sobrie didascalie per il Foro e per il Palatino, fino ad ora incomprensibili ai più.
L’importante è non perdere la testa, né nel segno della conservazione né dell’innovazione, cercando una via moderata, che salvi e saldi il buono che vi è nel vecchio come nel nuovo. Attuare ciò nel campo dei beni culturali, ancora fortemente ideologizzato, non è facile. Il rischio è la contrapposizione frontale; l’opportunità il lavoro di squadra.
Esiste una divisione dei poteri anche nel ministero dei Beni Culturali. La tutela è materia di diverse Direzioni generali, delle Soprintendenze e dei Comitati tecnico-scientifici. La valorizzazione è materia della nuova Direzione generale. Sono certo che Mario Resca, che dirige quest’ultima, si preoccupi della tutela quanto della comunicazione. Le scelte migliori verranno dal dialogo tra le due esigenze, nessuna delle quali deve uscire mortificata.
Il Consiglio Superiore del ministero ha varato le linee guida per il rilascio delle autorizzazioni al prestito delle opere d’arte, tradotte poi in Decreto ministeriale il 29 gennaio 2008. È avendo in mente questi principi che i Comitati tecnico-scientifici devono compiere le scelte specifiche, e di questi comitati fa parte ormai anche il Direttore per la valorizzazione. Se alla luce di esperienze recenti vi sono ritocchi da apportare alle linee guida, si provveda. L’importante è che esistano regole valide per tutti. Solo esse sono in grado di dare stabilità ai comportamenti. Se le dimentichiamo, cadiamo nell’arbitrio. Non è vero che il ministero sia solamente una fabbrica di «no». Circolano ogni anno dalle diecimila alle dodicimila opere: troppe, a mio avviso. Inoltre l’Italia è tra i Paesi che più prestano al mondo, senza reciprocità adeguata. Ogni spostamento qualche rischio comporta; d’altra parte conserviamo storia e bellezza per coloro che vivono. Alcuni pareri favorevoli possono essere discussi, così come altri sfavorevoli. Se determinati beni non possono circolare, perché altri, del medesimo materiale e in condizioni di salute analoghe invece girano? La discrezionalità è signora equivoca, da evitare.
A preoccuparmi, in questa estate, non sono tuttavia i Bronzi di Riace. Capisco che i grandi capolavori, musei, siti e monumenti richiamino le maggiori attrazioni, ed è in essi che oggi bisogna concentrare la valorizzazione, garantendo qualità nei progetti culturali, nella comunicazione, nei servizi (dove è stato introdotto da Resca un principio giusto di concorrenza). Lo sblocco della questione Brera-Accademia è un grande passo avanti. Nella Roma archeologica si fanno i progressi che si attendevano da generazioni. A Pompei sono stati fatti interventi positivi, mal giudicati. Non dimentichiamoci tuttavia degli oggetti, musei, siti e monumenti minori, cioè dei contesti e quindi dei paesaggi, che rappresentano il sale culturale dell’Italia, troppo spesso tramutato in cemento. I contesti sono tessuti di opere anonime, lavori collettivi nei secoli: è la storia visibile della Penisola, che gli italiani in grande parte ignorano, anche per colpa di una cultura estetizzante, troppo selettiva.
Qui si concentrano le mie ansie. Le Soprintendenze mancano di funzionari, di fondi e ora non potranno più esercitare la tutela sul territorio, perché è stato proibito ai funzionari l’uso del mezzo proprio. Ecco il granello che inceppa l’intera macchina. Spero che il ministro Bondi, che da poco ci ha salvato da un emendamento micidiale sulla «dichiarazione certificata di inizio attività» (si veda un mio articolo del 15 luglio scorso), ci preservi anche da questo flagello e dagli altri venturi.
Stefano Bucci