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 2010  agosto 04 Mercoledì calendario

AVALLONE: NEL PRIVÉ PER IL MIO LIBRO

Suo padre è napoletano, commerciante a Piombino. La mamma è di Biella, maestra. Si separarono presto e lei ancora piccolissima seguì la mamma in Piemonte. Qui a otto anni imparò a memoria «Novembre» di Pascoli, che la impressionò per sempre. «Forse quella poesia è il mio segreto. Può andare bene?». Silvia Avallone, autrice di «Acciaio», bestseller del momento (meritatamente), ha solo 25 anni e qualche problema a scovare qualcosa da confessare. Siamo a casa sua a Bologna. Si sposerà in autunno e, per la prima volta nella storia dell’editoria italiana, una rivista ha già chiesto di avere l’esclusiva delle foto del matrimonio (come si fa con rockstar e calciatori ma mai con le scrittrici). Ma lei non è tipo da montarsi la testa. Lei è cresciuta alla scuola dei ragazzi e delle ragazze di vita di Piombino. Ci tornava da bambina ogni estate. «Era un luna park a confronto di Biella, un’esplosione di gioia. La spiaggia, il mare, le zonzelle calde da mangiare dopo il bagno. I ragazzi che giravano sui loro motorini truccati e si facevano bocciare a scuola per andare a lavorare il prima possibile alla Lucchini, l’acciaieria». Poi le cose cambiarono. «La sera i ragazzi più grandi, quelli sui sedici anni, invece di restare con noi ragazzine presero a dire: "Noi andiamo al Gilda". Io, ancora piccola, ero incuriosita. Cos’era questo posto fantomatico, e cosa andavano a farci e perché noi ragazze non potevamo accompagnarli? Piano piano capii. I ragazzi raccontavano che al Gilda c’erano ragazze che ballavano nude (e io: "Come? si spogliano nude?"), che si facevano toccare (e io: "Come? si fanno toccare?"), che si facevano spalmare la crema addosso ("La crema?"). Per me il Gilda diventò un luogo mitologico, turpe, proibito». A sedici anni disse alla madre che non voleva più stare nella seriosa Biella. Si iscrisse al liceo classico di Piombino e continuò a frequentare i suoi amici di prima, quelli che facevano il bagno alla spiaggia della Torre del Sale, quelli che la chiamavano Biella, per la città da dove veniva, ma anche, da grandi appassionati di motori, per l’omonimo pezzo meccanico e le facevano sempre la battuta: «Attenti che la Biella poi sbiella». Poi Silvia andò a Bologna, all’università, e le venne l’idea di scrivere un romanzo sulla sua Piombino. Un romanziere deve andare a vedere di persona le cose che racconta. Così quando, lavorando al libro, seduta a un tavolo dello studentato (la casa dello studente) di Bologna, con i tappi alle orecchie perché intorno gli altri inquilini fanno feste tutte le sere, arriva alla scena del romanzo in cui gli eroi vanno al Gilda, Silvia si blocca. E adesso come descrivere quello che succede dentro al Gilda se non l’ha mai visto? «Mi sono detta: devi andare. È una questione di rigore professionale». Il giorno dopo ha preso il treno per Piombino. Ha convocato gli amici d’infanzia più cari: «Ragazzi, dovete farmi un favore. Dovete portarmi al Gilda». E gli amici: «Ma tu stai male! Eccola che sbiella. Quello è un posto per soli maschi. Non ti portiamo. Succede un casino, ci fai prendere le botte». Silvia: «No, è importante, devo metterlo nel romanzo». Gli amici: «Romanzo? Ma che ti è venuto in mente?». Alla fine, verso mezzanotte di un venerdì di quasi estate, l’aspirante scrittrice, abbottonatissima a scanso di equivoci e malgrado il caldo, si è messa in coda davanti alla Gilda Sexy Disco di Follonica, specialità: lap dance, addii al celibato, compleanni e live show che danno «la scossa erotica». E sul cui palcoscenico si sono esibite negli anni, come si ricorda nella Gallery celebrativa: Asia d’Argento, Jessica Rizzo, Ilona Staller e, soprattutto, tante anonime ragazze dell’Est. «C’era un gran casino di gente che aspettava. Maschi sui 45-50 anni ma anche molti ragazzi. Ho fatto la fila tra mille sguardi, al centro della curiosità generale perché ero l’unica donna. Appena dentro mi ha colpito il fatto che era un posto senza pretese, per niente chic. E poi l’odore, un misto di tante cose. La gente gridava come allo stadio: "Topa topa topa". Le ragazze lì per lì sembravano splendide ma alcune, sotto il fondotinta, avevano guance segnate dall’acne. Si aggiravano tra i tavoli col loro tubo di crema nivea in mano e se la facevano spalmare addosso. Ma tutti questi omaccioni, anziché guardare le signorine nude, guardavano me, vestitissima, immaginando che io fossi lì per chissà quale perverso motivo. Gli sguardi si sono fatti insistenti e mi sono rifugiata nella saletta fumatori che era vuota. Tempo qualche minuto e si è riempita. Chissà, pensavano che fossi lì per degli scambi. È stato un momento di autentico terrore con questi che mi fissavano e aspettavano che facessi qualcosa. I due amici che erano con me l’hanno presa malissimo: "Silvia, ci hai messo in una situazione". Allora ho detto: "Sono una giornalista. Posso farvi qualche domanda?". E uno degli omaccioni: "Ah, ma prendi il nome?". "No, no", l’ho rassicurato. E quello mi ha raccontato vita, morte e miracoli. Come se non aspettasse altro. E, dopo di lui, gli altri hanno fatto lo stesso. Parlavano, parlavano e raccontavano la loro storia. Per una notte sono stata la confessora dei clienti del Gilda».