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 2010  agosto 04 Mercoledì calendario

IL GIUDICE DEL PROCESSO A BROS: REATO ANCHE I GRAFFITI ARTISTICI

Milano — Puoi anche essere un novello Picasso, e con i graffiti magari nobilitare davvero qualunque ammasso di mattoni o volgare insegna pubblicitaria. Ma già solo il fatto che il graffitare modifichi la fisionomia estetica (bella o brutta che sia) legittimamente scelta dal proprietario di quella superficie, integra il reato di imbrattamento. A sorpresa, nascosto dietro un verdetto di proscioglimento che il 12 luglio si era limitato a rilevare un difetto di querele, il principio che mette al bando anche i graffiti «artistici» si materializza ora nelle motivazioni — a metà tra questione giuridica e dibattito culturale — della sentenza del Tribunale di Milano su uno dei più noti writers della «Street Art», Davide Bros Nicolosi, 29 annui, imputato d’aver imbrattato un muro del carcere di San Vittore, una pensilina della Metropolitana e la facciata di uno stabile.
A fare la differenza non è tanto la risposta scelta, quanto il modo di porre la domanda. Per il giudice Guido Piffer, infatti, la questione non è affatto se i graffiti possano essere o meno «arte», e se Bros possa o no trarre la propria legittimazione artistica dal-l’aver esposto opere nel 2007 a Palazzo Reale: il reato non si può misurare su una pretesa patente di «natura artistica dell’opera d’arte, stante l’impraticabilità di una tale categoria» troppo legata all’indefinibile coscienza sociale di un certo momento storico.
Ciò che invece rileva sul reato di imbrattamento (chiarito dalla Cassazione nel 1989 come lo «sporcare l’aspetto dell’estetica o la nettezza del bene senza che il bene nulla abbia perduto della sua funzionalità»), per il giudice è piuttosto «la tipologia della cosa su cui ricade la condotta» di chi fa i graffiti: «la fisionomia estetica e la nettezza attribuite al bene da chi ne ha legittimamente la disponibilità, per quanto magari opinabili come del resto opinabile è lo stesso valore estetico dei graffiti realizzati».
Se dunque qualcuno realizza un disegno («magari da taluno apprezzato») sulla facciata di un palazzo appena rinnovata dai proprietari «secondo i criteri estetici che più aggradano loro, non potrà negarsi che la facciata è stata "deturpata" e "imbrattata" in quanto ne è stata alterata la forma estetica e la nettezza legittimamente scelte per quel bene dai suoi proprietari». E lo stesso accade se si disegna su una pensilina della Metropolitana, quand’anche il graffito faccia concorrenza a Raffaello e la pensilina sia orribile. Sostenere (come fa la difesa di Bros) che il graffito artistico possa costituire imbrattamento soltanto se realizzato «su opere di interesse storico-artistico o su monumenti», per il giudice è una contraddizione viziata da uno speculare «criterio assai vago ed estensivo»; e si risolve in «una arbitrarietà che rischia di avallare forme di indebita prevaricazione ai danni di chi non ha prestato il proprio consenso alla modifica della forma estetica e alla compromissione della nettezza del bene legittimamente scelta». A salvare i Picasso-graffitari, secondo il giudice, può essere solo il caso in cui «il bene sia lasciato sudicio o in rovina dal proprietario», perché lì sarebbe «problematico configurare l’imbrattamento di ciò che è già deturpato».
La legge in vigore all’epoca (meno severa di quella del 2009) prevedeva la procedibilità d’ufficio solo per imbrattamenti nel «centro storico», quale non è corso Lodi (dov’era la pensilina Mm): ci voleva la querela, ma la Mm non l’ha sporta. Il carcere di San Vittore è in centro e la procedibilità è d’ufficio, ma qui Bros si giova della più favorevole prescrizione pre legge Cirielli: reato estinto. E il palazzo? La proprietà si è accordata con Bros e ha ritirato la querela.