Franco Venturini, Corriere della Sera 4/8/2010, 4 agosto 2010
LA RUSSIA ALL’ULTIMA BATTAGLIA DEL GRANO
Una vecchia storiella, nata quando Nikita Kruscev aveva ormai imboccato la china discendente, diceva che la produzione sovietica di grano era tanto efficiente da avere soltanto quattro problemi: l’inverno, la primavera, l’estate e l’autunno. In Urss il buonumore è sempre stato un rifugio segreto della libertà d’espressione, ma nel caso specifico lo sfottò voleva essere anche una diagnosi più generale rivelatasi spesso esatta nella storia russo-sovietica del Novecento. E non può stupire, allora, che essa torni d’attualità nelle odierne e diverse circostanze, non tanto per gli incendi che assediano Mosca distruggendo boschi e foreste, quando per la siccità eccezionalmente lunga che pregiudica coltivazioni e raccolti. Fino a minacciare, con l’aumento dei prezzi mondiali e il taglio delle esportazioni, di riversarsi sulle nostre tavole.
La vicenda del grano, a ben vedere, è uno specchio fedele benché non esauriente di una storia che va dagli zar al bolscevismo leninista e poi stalinista, fino all’Urss della guerra fredda e al suo inglorioso tramonto negli ultimi giorni del 1991.
In Russia la servitù della gleba venne abolita soltanto nel 1861 dallo zar Alessandro II, ma la riforma tanto attesa si rivelò per i contadini una trappola più che un beneficio: la teorica maggiore libertà si tradusse presto in una più accentuata dipendenza dai proprietari terrieri, ormai liberi — essi sì — di agire come meglio credevano. Prese corpo in quei decenni quello che sarebbe stato l’appoggio dei contadini alla Rivoluzione d’Ottobre, ma ancora una volta le campagne erano destinate a pagare un alto prezzo. Lenin, impegnato a combattere i «bianchi» e ad affermare il suo «comunismo di guerra», decise la confisca sistematica delle produzioni di grano. I raccolti servivano a far vincere la Rivoluzione, ma nel 1921 la rivolta di Kronstadt, promossa da marinai in gran parte ex contadini, convinse il capo bolscevico che bisognava cambiare rotta.
Nacque così la Nep, nuova politica economica. Lenin, con l’appoggio di Bukharin, aprì alle piccole imprese private anche agricole, introdusse forme di mercato, legò il commercio alla legge dei prezzi piuttosto che a quella di una ancora embrionale pianificazione centralizzata. I latifondi vennero frammentati, vennero concessi incentivi per accrescere la produzione, e così l’Unione Sovietica divenne il primo produttore di grano del mondo.
Ma il grano non aveva ancora esaurito il suo ruolo simbolico e rivelatore. Nel 1924 Lenin muore e dopo una feroce lotta tra fazioni è Stalin a mettere le mani sul timone. Nelle campagne siamo alla vigilia di una tragedia assai vicina al genocidio. La Nep, nella visione di Stalin, ha il torto di aver creato una nuova classe sociale incompatibile con l’ortodossia comunista e anche con il suo sfrenato desiderio di potere assoluto: quella dei piccoli proprietari, dei «kulaki». Accusati di essere nemici del Partito e della collettivizzazione, essi vengono sistematicamente privati dei raccolti (che naturalmente diminuiscono a vista d’occhio), massacrati al primo segno di resistenza, condannati a morte lenta da una spaventosa carestia gestita più che combattuta dal Cremlino, oppure deportati in massa nei campi di lavoro in Siberia. Stime diverse e tuttora incerte dicono che da due a sei milioni di «contadini capitalisti» muoiono o vengono uccisi in quegli anni. Eppure l’Urss è ancora una nazione prevalentemente agricola, anche se Stalin intende puntare tutto sull’industria pesante. Così il dittatore georgiano per un certo periodo può addirittura permettersi di esportare grano, ma quel grano ha cambiato colore: è rosso sangue. Il crollo della produzione agricola dura fino al 1940, quando la guerra impone anche a Stalin un cambiamento di politica. Ma l’eroica vittoria sui nazisti, così come non cancellerà dalle memorie l’aberrante ferocia delle purghe staliniane e dei suoi finti processi, non porterà nemmeno a una vera riabilitazione dell’agricoltura. Cioè della produzione del grano.
La svolta sembra giungere con Kruscev, che conquista il potere dopo la morte di Stalin e ne denuncia i crimini nel celebre rapporto segreto del febbraio 1956 (anche se Kruscev a molti di questi crimini aveva partecipato con apparente entusiasmo). Tra le molte riforme che il kruscevismo annuncia — ma soltanto in Urss, non a Budapest né a Berlino — l’agricoltura occupa un posto di assoluto rilievo. E’ con essa, è con il grano oltre che con l’industria che l’Urss «sorpasserà gli Stati Uniti». Ma la storia ha in serbo un altro scenario. Nel 1964, quando Kruscev viene deposto (il primo ad esserlo da vivo), il principale capo d’accusa rivoltogli da Leonid Breznev e compagni è proprio quello di aver male organizzato l’agricoltura pregiudicando la produzione di grano. Che continua così, suo malgrado, a fare storia.
Nei lunghi anni del regno brezneviano il Cremlino ha tre obiettivi. Provvedere al fabbisogno di grano interno. Non aprire varchi ad eventuali manovre sul modello antikrusceviano. E soprattutto non subire l’umiliazione di dover importare grano dagli Usa, cosa alla quale gli americani, più di una volta, provvederanno con doppio piacere (tra l’altro facendosi pagare in oro sotto la stretta sorveglianza dei rispettivi servizi).
Poi cambia tutto e l’Urss corre verso la sua fine. Andropov, Cernienko, Gorbaciov, non hanno il tempo di lasciare il segno oppure, pur avendoci provato, firmano il certificato di morte dell’Unione. Il grano conta ancora, ma soprattutto perché le infrastrutture sono crollate, i silos fanno entrare l’acqua, i trasporti non funzionano, i raccolti marciscono. La nuova Russia che punta sul petrolio e sul gas, comunque, il grano lo riabilita. Ne diventa grande esportatrice, come l’Ucraina e il Kazakhstan divenuti indipendenti. A tal punto che ora, con la siccità e gli incendi, siamo noi ad aver paura: in aggiunta alla crescita dei prezzi, i tre esportatori ex Urss metteranno davvero mano alle riserve per soddisfare la richiesta dei clienti occidentali? Il grano, dopo aver tanto partecipato alla storia russo-sovietica, diventerà forse una piccola parte anche della nostra storia.