Riccardo Sorrentino, Il Sole-24 Ore 4/8/2010;, 4 agosto 2010
È IL POPOLO CHE UCCIDE LA MONETA - P
erché spendere così tanto? Costa 950 dollari su e-bay ma è possibile trovarlo ai "soli" 149 dollari di Amazon o ai 699 di una libreria antiquaria. Il successo di Dying of Money: Lessons of the Great German and American Inflations scritto nel 1974 dall’altrimenti sconosciuto Jens O. Parsson è davvero stupefacente.
La sorpresa cresce anche di più alle prime pagine. Comincia come un testo di storia monetaria: l’iperinflazione tedesca - per la quale Parsson fa continuo riferimento a Costantino Bresciani-Turroni - e poi la vita parallela del dopoguerra americano, che però non ha conosciuto gli eccessi della Repubblica di Weimar. Mah!
Il punto di riferimento teorico sembra il monetarismo di Milton Friedman: Parsson fa perno sulla teoria quantitativa della moneta che si basa su un’equazione contabile (e quindi sempre vera): in un dato periodo il valore degli scambi (prezzi per quantità di beni) è uguale alla quantità di moneta moltiplicato il numero degli scambi (la velocità con cui la moneta passa di mano). Se - ed è un se impegnativo - la velocità della moneta e la quantità dei beni restano costanti, aumentare la quantità di denaro farà aumentare tutti i prezzi.
Parsson ripercorre l’ideadi David Hume: se raddoppia improvvisamente la quantità di moneta, raddoppiano tutti i prezzi. In un mondo senza tempo, naturalmente. Perché dove il tempo appare, le cose si complicano (infatti il nesso tra moneta e livello dei prezzi si è un po’ perso): la banca centrale emette denaro quasi mai di sua iniziativa - la distribuisce al sistema finanziario, che lentamente la dirige verso aziende e famiglie, in modo diseguale. Cresce la produzione e quindi la quantità di beni, il consumo, e quindi la velocità. I prezzi cambiano di continuo, e il loro livello generale sale dopo molto tempo. Parsson sa bene tutto questo, ma si concentra su un punto: se aumenta la moneta, in genere aumenta anche la velocità.
Fin qui, quindi, in quel libro non c’è nulla di clamoroso. E allora? Allora il libro di Parsson è uno dei pochi che fa i conti con la storia e la sua complessità. La scienza economica solo ora inizia a tener conto degli aspetti caotici del sistema, dei fenomeni prociclici (i feedback positivi, che allontanano dall’equilibrio), delle soglie superate le quali il mondo cambia. La storia invece permette a Parsson di capire che le relazioni tra i fatti sono molto complicate.
È qui che il libro si sgancia dal convenzionale. È il governo a creare iperinflazione? No: per Parsson lo stato erode la ricchezza monetaria, riempie un bacino di liquidità ma non rompe la diga.«L’economia del disastro comincia - scrive quando chi possiede denaro si ribella. È semplice, e il governo ha poco o nulla da dire o fare in questa situazione. Le sue politiche difficilmente sono peggiori o differenti dal solito, e potrebbero persino essere migliori, come in Germania nel 1922». Chi possiede denaro si ribella «con il semplice atto di liberarsi della moneta e della ricchezza monetaria»; e se questo fenomeno diventa generale, si supera una certa soglia e si raggiunge la massa critica, la velocità della moneta si moltiplica e così i prezzi. È un mondo diverso da quello comunemente immaginato: «Nessun governo fa crollare la propria valuta perché lo vuole o perché non se ne cura in modo plateale. Quando alla fine vede la scelta, non ha più scelta. La gente prende il potere, e il governo è rimosso dal comando ».
Prima che si raggiunta questo punto, però, lo stato ha le sue responsabilità. E la soluzione non è semplice: «Portate gli stivali da trekking», dice Parsson che si propone di mettere d’accordo Friedman e Keynes, liberandosi dai «dogmi» degli «impostori». Per garantire il benessere, il potere d’acquisto, propone allora tasse sui patrimoni- auspicate recentemente anche da Luigi Zingales e Raghuram Rajan in Salvare il capitalismo dai capita-listi - al posto di quelle inflazionistiche su reddito e consumi; e la sostituzione dei trasferimenti pubblici redistributivi con un dividendo nazionale- 1.200 dollari a testa, nel 1974 - uguale per tutti. Poi salari liberi e la rinuncia alla crescita economica come obiettivo "obbligato".
Ecco spiegato l’arcano: condivisibile o no, quella di Parsson è un’analisi realistica e una visione, contro le aridità della teoria e della politica. Con un’importante monito: «Senza inflazione, la Borsa sarebbe un posto soporifero». Per qualcuno tutto questo vale un prezzo elevato.