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 2010  agosto 04 Mercoledì calendario

Mansour, il tennista che sfidò Khomeini. E vinse - Alì oggi vende colpi di racchet­ta per un pugno di dollari

Mansour, il tennista che sfidò Khomeini. E vinse - Alì oggi vende colpi di racchet­ta per un pugno di dollari. Non do­veva finire così, ma ad Acton, Mas­sachusetts, in fondo la vita scorre fe­lice, anche se il rimpianto a volte fa male.Alì oggi ha 53 anni e trent’an­ni fa aveva un amico, Mansour, con il quale giocava a tennis: stesse spe­ranze, stessa qualità, colpi diversi, perché Ali Madani era un giocatore classico, mentre Mansour Bahra­mi cercava il colpo ad effetto sem­pre, la smorzata impossibile anche quando sarebbe bastato metter la pallina semplicemente al di là del­la rete. Il ragioniere e il clown, face­vano una bella coppia loro in Iran. La storia di Alì e Mansour è stata riportata alla luce dal New York Ti­mes , perché le porte che si aprono improvvisamente nella vita fanno sempre notizia. Sliding doors , ricor­date? Ci hanno fatto pure un film. Ecco, allora la trama è questa: Ma­dani e Bahrami erano il doppio di coppa Davis della Persia che guar­dava a ovest e avevano entrambi il sogno di conquistarsi un posto nel­­l’Occidente dello sport. Solo che quel film non aveva un lieto fine. Anno 1979, arriva la rivoluzione islamica: l’Ayatollah Khomeini di­chiara il tennis uno sport troppo fi­loamericano, capitalista, decaden­te e ne dichiara l’estinzione. Alì e Mansour insomma si ritrovano senza lavoro,da un giorno all’altro, la loro gloria doveva essere solo al servizio di Allah. Non restava in­somma che fuggire e per battere Khomeini non restava solo che un modo: giocarsela a tennis. L’occa­sione arriva dopo insistenti richie­ste tramite la Revolutionary cup, un torneo a cui le autorità danno il via libera per vedere se questo sport con le racchette possa diven­tare propaganda anche a Teheran. Tutti in campo allora, con i pochi tennisti iraniani rimasti che si con­tendono il visto per un viaggio an­data e ritorno verso Atene. Era giu­sto trent’anni fa. «Non ho mai pensato che ci avrebbero fatto giocare davvero ­dice oggi Bahrami- : la mia idea era che appena scesi in campo i mul­lah sarebbero venuti a prenderci per metterci in galera». E invece Alì si fidava, in fondo cosa facevano di male loro con quella racchetta? E fu così, il torneo ebbe inizio e natu­ralmente in finale si ritrovarono i migliori, loro due: Madani contro Bahrami. Chi batteva l’altro avreb­be battuto anche l’ayatollah e in pa­lio c’era la libertà. «Era chiaro che chi fosse riuscito a uscire dal Paese non ci sarebbe più tornato» insiste Bahrami, ed è per questo che Alì era molto nervoso, tanto da perde­re il primo set 6-2: «Non avevo mai fallito contro Mansour. Lui era un giocatore di talento ma troppo fallo­so, io invece ero molto più regola­re. Solo che quel giorno eravamo due amici in campo che si giocava­no qualcosa di troppo importan­te ». Un colpo, l’altro, Bahrami co­mincia a strafare, Madani a ragio­nare: 6 -0 finisce il secondo set per lui, ci si gioca tutto nel terzo che va punto a punto. «Nessuno voleva mollare, poi all’improvviso sba­gli­ai quello che non avevo mai sba­gliato prima e il danno fu fatto »: 7-5 Bahrami, Khomeini era sconfitto. Solo che con lui era battuto anche l’amico Alì. «Continuavo a pensare che non mi avrebbero lasciato partire - ri­corda Bahrami- e volevo regalare il viaggio alla mia fidanzata di allora. Poi un amico mi disse che conosce­va il ministro degli Esteri Sadegh Ghotbzadeh e che mi avrebbe fatto avere il visto per Parigi». Ghotbza­deh fu di parola, tanto che un anno e mezzo dopo - quando Mansour aveva beffato l’ayatollah e già gioca­va a tennis in Francia - fu fucilato per ordine di Khomeini nonostan­te lo considerasse quasi un figlio. La sua colpa? Era troppo buono. «Mansour fu fortunato - dice oggi Madani- ma perdemmo entrambi troppo tempo. Lui continuò ma non poteva disputare i tornei Atp, io restai fermo un anno e mezzo pri­ma di fuggire a mia volta. Il mio ten­nis però non c’era più». Risultato: oggi Bahrami fa ancora il clown e per 40 settimane gira il mondo e di­v­erte il pubblico con le sue esibizio­ni di tennis, Madani invece - dopo aver disputato cinque match (tutti persi) nel circuito professionisti- fa il maestro ad Acton. Ogni colpo di racchetta vale qualche dollaro: «Non ho invidia per Mansour, lui si è fatto un nome con le esibizioni, io me la cavo. Certo: chissà cosa sareb­be successo se avessi vinto quella finale, è dura veder svanire un so­gno senza poter provare a realizzar­lo ». È dura avere rimpianti Alì, an­che se trent’anni dopo una certez­za c’è: poteva finire peggio.