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 2010  agosto 04 Mercoledì calendario

«Il mio incubo d’amore con Saddam Hussein» - Iniziò in una notte di pas­sione, e diventò un incubo lungo 34 anni

«Il mio incubo d’amore con Saddam Hussein» - Iniziò in una notte di pas­sione, e diventò un incubo lungo 34 anni.Fino a quell’ul­tima sera quando lui le disse: «Dobbiamo finirla, ma nes­sun altro dovrà più toccarti». Fu l’ultima volta di Saddam e Shaqra, la notte in cui Shaqra «la Bionda» - come la chiama­va lui - capì che doveva fuggi­re, lasciare per sempre quella Bagdad maledetta dove lei era una cortigiana prigionie­ra e sua figlia un giocattolo sessuale alla mercé di Uday, il primogenito psicopatico del dittatore. Oggi quella storia di passio­ne e violenza, terrore e schia­vitù rivive in un libro pubbli­cato in Svezia e intitolato La Mia vita con Saddam Hus­sein . Parisoula Lampsos, la preferita del defunto Sad­dam Hussein, è riuscita a pub­blicarlo otto anni dopo la fu­ga dall’Irak e quattro dopo l’esecuzione del suo amante­padrone. La saga inizia una sera d’estate del 1968, quando la 16enne Parisoula, figlia di un ricco ingegnere petrolifero li­banese d’origini greche si ri­trova a una festa in una son­tuosa villa di Bagdad. Giran­do tra tavoli e divani mentre l’orchestra suona Strangers in the night , Parisoula incro­cia lo sguardo di un giovane ufficiale in completo blu e ca­micia bianca. «Aveva occhi dorati e profondi, era un vero uomo e mi attraeva irrefrena­bilmente », ricorda Parisoula. Il giovane Saddam è meno ro­mantico, ma sa quel che vuo­le. Mentre lei gli sviene ai pie­di lui le sussurra un impegno da camionista: «Stasera sarai il bocconcino del pescatore». Poi si volta verso il fratello Barzan e mette tutto in chia­ro. «Non provarci, questa è mia». Da lì alla stanza da letto il passo è breve. Ed anche la storia potrebbe esserlo. Il pa­pà di Shaqra, preoccupato dai modi di quel giovane leo­ne del partito Baath, rispedi­sce a Beirut la ragazzina se­dotta e inebriata. Ma quattro anni dopo un destino beffar­do la riporta a Bagdad. La gio­vane libanese ha sposato Si­rop, un ricco commerciante armeno cristiano e gli ha da­to due figlie. Ma il giovane Saddam, diventato nel frat­tempo vicepresidente, non ha dimenticato. Così lo sfor­tunato Sirop si ritrova in pri­gione con tutti i beni seque­strati. Nel frattempo Ali Sue­di, l’avvocato della famiglia Saddam, suggerisce alla «Bionda» di convertirsi al­l’islam, divorziare dal cristia­no e attendere un gesto del­l’uomo forte del Paese. Le re­gole da quel momento le det­ta il rais. La prima prevede che Shaqra si risposi con un marito di copertura scelto dallo stesso Saddam. La se­conda le impone di non dire mai no. E Shaqra obbedisce. Notte dopo notte, settimana dopo settimana, anno dopo anno. Anche quando gli oc­chi dorati del rais sono per mesi uno sbiadito ricordo. In teoria non può lamentarsi. Vi­ve in una villa attigua a un pa­lazzo presidenziale, occupa i posti riservati all’aristocrazia di regime, ne condivide agi e ricchezza. In cambio deve so­lo obbedire. Anche quando un fine settimana del 1987 Uday, il figlio sadico del ditta­tore di cui è la segretaria pri­vata al Comitato olimpico, le chiede di accompagnare a una festa sua figlia Aliki, allo­ra appena 15enne. Shaqra ha sentito le voci sulle decine di ragazze violentate da quel fi­glio sadico, ma obbedisce an­che quella sera. Poi attende in piedi fino a quando Aliki ri­torna umiliata, seviziata, in­sanguinata. «Mi sentivo vio­lentata anch’io, ma in fin dei conti lavoravo per lui e dormi­vo con suo padre. Quello era il prezzo della mia vita da cor­tigiana ». Continua a passare le notti con il rais ad ascoltar­lo quando, tra una bottiglia di whisky e una dose di viagra, le racconta d’essere«il nuovo Saladino» e di «voler esser ri­cordato per mille anni». La maledizione e la schiavi­tù che neppure l’umiliazione e l’amore filiale riescono a in­frangere si spezza sotto i col­pi della paura dopo quelle tre frasi sussurratele nell’ultimo incontro con il rais. «Shaqra questa storia deve finire non so ancora come, ma so - sibi­la lui una notte del 2000 - che dopo di me nessuno dovrà averti». In quelle frasi la «Bionda» legge la propria condanna a morte e l’inelut­tabile necessità di fuggire. Ep­pure ancora oggi scrive di non aver dimenticato l’odore delle gardenie di Bagdad, le note di Strangers in the night e lo sguardo dorato di quel dit­tatore che le spezzò il cuore e la vita.