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 2010  agosto 04 Mercoledì calendario

STORIA D’ITALIA IN 150 DATE

24 ottobre 1917

Una caporetto
Il maresciallo Rommel, che nella seconda guerra mondiale sarà la «volpe del deserto», nella prima è il giovane capitano di un battaglione di alpini tedeschi, incaricato di attraversare la linea del fronte e penetrare il più possibile nelle retrovie nemiche. I suoi uomini affondano per trenta chilometri in territorio italiano e si ritrovano a Caporetto, alle spalle di un esercito in fuga. Il nostro. Sono testimoni di uno spettacolo imbarazzante persino per loro: soldati che intasano le strade, che gettano le armi, che si arrendono al primo tedesco di passaggio. Lo stesso Rommel viene portato in trionfo da chi avrebbe dovuto sparargli addosso, al grido di «Viva l’Austria e la Germania!». Più che una ritirata, sembra una sfilata pacifista. Il fascismo se ne servirà per avvalorare una delle tante dietrologie in cui siamo maestri: Caporetto andrebbe imputata ai «disfattisti», cattolici e socialisti, che hanno contaminato il morale delle truppe. Per fortuna il tempo farà giustizia di certe sciocchezze. Se Caporetto è una caporetto, lo si deve anzitutto ai comandi militari, che non credono a un’offensiva austro-tedesca nemmeno quando ne vengono a conoscenza dagli interrogatori di alcuni prigionieri. E non vi credono perché l’idea di uno sfondamento concentrico in uno spazio ristretto cozza con la loro visione elefantiaca della guerra, fatta di trincee disseminate lungo un fronte sterminato (700 chilometri dalle Dolomiti alla foce dell’Isonzo!) e di assedi interminabili alle cime dei monti, quelle pietraie che ricopriamo per anni con centinaia di migliaia di cadaveri.
La breccia in cui si infilano gli alpini di Rommel è anche e soprattutto una breccia morale. Ma a crearla non è il «disfattismo» della politica, bensì quello della trincea. Con l’eccezione degli alpini, i soldati italiani non sono abituati ai ritmi sfiancanti della guerra di posizione. L’unico generale capace di portarli alla vittoria era stato Garibaldi, che andava all’assalto di slancio come un pirata. Il fante della prima guerra mondiale ha visto spegnere il suo entusiasmo iniziale nei lunghi inverni di guerra e nelle dodici inutili carneficine dell’Isonzo (dal Carso a Sabotino, fino all’ultima sulla Bainsizza, costata centomila vite) in cui lo ha scaraventato il generalissimo Cadorna, piemontese tutto d’un pezzo col culto della disciplina e l’elasticità di un obelisco. È, il nostro, un fante contadino, annoiato dalla vita di trincea e pieno di rancori verso l’operaio rimasto in fabbrica per produrre armi, che a lui sembra più che altro un imboscato. Quando arriva Caporetto, non pensa sia una caporetto, ma una licenza-premio per tornare finalmente a casa.