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 2010  agosto 04 Mercoledì calendario

Smarrimento tra i lumbard: “Da noi Caliendo nessuno sa chi sia” - Ieri alla buvette della Camera si aggiravano personaggi che parevano catapultati da un altro mondo

Smarrimento tra i lumbard: “Da noi Caliendo nessuno sa chi sia” - Ieri alla buvette della Camera si aggiravano personaggi che parevano catapultati da un altro mondo. Si trattava di classici esemplari di razza padana: ma a Roma apparivano come il marziano di Ennio Flaiano. Partecipavano disciplinatamente alla seduta e ai voti, e altrettanto disciplinatamente si preparavano al grande appuntamento del giorno dopo, cioè alla giornata di oggi, e dunque alla discussione sulla sfiducia al sottosegretario Caliendo. Però con l’aria di chi usa obbedir tacendo e dentro di sè si chiede: ma di che cosa stiamo parlando? Un padano a Roma era ad esempio l’onorevole Roberto Zaffini, al suo primo giorno di scuola. Con abito blu e scarpe da ginnastica bianche debuttava alla Camera, avendo appena preso il posto dell’onorevole Matteo Brigandì, passato al Consiglio superiore della magistratura perché «stufo di fare lo schiacciabottoni». «Sono emozionato, milito nella Lega dal 1993 e ora vedo da vicino le facce che prima vedevo in tv, sono nell’Olimpo della politica», ci confidava. Ma «l’Olimpo» gli riserva subito la più classica delle commedie della politica romana: trasformismi, tatticismi, trattative da vecchia Dc, prove di crisi. Il tutto attorno a un nome - Giacomo Caliendo - che ai suoi elettori padani suona come quello di Carneade suonava a don Abbondio. «Non voglio dare giudizi - diceva timoroso al cronista - ma a me interessa molto di più il voto sui decreti per l’energia». Cose concrete. Il padano a Roma è facilmente identificabile, non avendo i romani l’abitudine di circolare con la cravatta verde o il fazzoletto verde nel taschino. Scappa via, perché non ha nemmeno tanto voglia di parlare di cose tanto astruse, il deputato bresciano Daniele Molgora: «Sono ben altri i problemi. A noi interessa il federalismo». Gli chiediamo se ha mai parlato, con i suoi elettori bresciani, del caso Caliendo: «Non sanno neanche chi è», risponde. Come tanti suoi colleghi ha l’impressione che si stia perdendo tempo, ma resta fiducioso: «Noi abbiamo la fortuna di avere Umberto Bossi». E pensate come può vivere giornate tanto surreali uno come l’onorevole veronese Matteo Bragantini. Uno che s’è beccato due mesi di carcere - insieme con il sindaco Flavio Tosi e altri quattro - per avere raccolto firme contro i campi rom. «Abusivi», precisa: eppure l’hanno condannato per istigazione all’odio razziale. A settembre subirà un nuovo processo per la vecchia storia delle camicie verdi: violazione della legge Scelba. «E meno male che nel frattempo è caduta l’accusa di attentato all’unità d’Italia, che prevede l’ergastolo». Glielo avessero contestato prima del 1946 gli sarebbe andata peggio: c’era ancora la fucilazione. Ecco, pensate come un combattente di tal fatta può scaldarsi ora per difendere il napoletano Caliendo. Sorrideva, ieri nella buvette: «Si sa che è così, sono discussioni da palazzi romani. La Lega è nata per contrastare proprio questo modo di fare politica». Ma i suoi elettori lo sanno che lei è qui perché il governo è a rischio per un’astensione su un sottosegretario? «I miei elettori sanno che sono qui a lavorare per il federalismo, per i problemi delle piccole e medie imprese». Sono i problemi che stanno a cuore anche all’onorevole trevigiano Giampaolo Dozzo: «Chi ci ha votati si aspetta riforme fiscali e interventi per l’economia: nel Trevigiano ci sono piccole e medie imprese che soffrono la crisi e non hanno i paracadute che ha la grande industria. In autunno scade la cassa integrazione di un sacco di lavoratori». E qua si parla di governi tecnici e di riforma elettorale: «Per la nostra gente sono chiacchiere, una gran perdita di tempo. Ma purtroppo la liturgia romana è questa». L’impazienza del popolo leghista è uno dei crucci di Bossi, il quale sa che il federalismo non può attendere. Ma l’insofferenza per le chiacchiere romane non è solo dei leghisti. Ieri alla Camera pareva friggere anche l’onorevole Daniele Marantelli, che non è certamente indifferente alla questione-Caliendo («Non è un chierichetto, altro che difenderlo!», ci diceva), ma che aveva in testa soprattutto, anche lui, «il problema dei problemi, che è il rilancio dello sviluppo». Spiegava, ieri alla buvette: «La Lombardia nel 2009 ha perso centomila posti di lavoro. C’è una crisi di cui qua non sempre c’è consapevolezza. Lo sa che molti imprenditori delle mie parti stanno chiamando ingegneri dalla Cina per farsi venire qualche idea? Mica aspettano la politica: si rimboccano le maniche». Ci confessava, Marantelli, di avvertire perfino «una differenza antropologica» con Roma. E Marantelli non è della Lega, è del Pd. Ma è di Varese. Un padano a Roma anche lui.