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 2010  agosto 03 Martedì calendario

GRAND HOTEL PAURA

Sfilano accanto allo stagno, nel semideserto centro tecnico di Coverciano, in un pomeriggio di un giorno da cani in cui le zanzare danno la caccia alla noia. Calciatori disoccupati che in attesa dell’allenamento pomeridiano, aspettano al tavolo di un bar l’occasione che nessuno sembra aver in animo di offrirgli. In Italia sono quasi cinquecento, divisi tra nord e sud. Sessanta di loro trascorrono un’estate diversa. Fine luglio, domenica. Le foto delle Nazionali che hanno fatto la storia alle pareti. Pozzo, Bearzot, Zoff, Rivera. Le storie dei ragazzi che in maglietta, pantaloncini e ciabatte balneari ai piedi affrontano un mese di prigionia per ottenere un patentino da allenatore (Uefa B, il primo gradino per diventare tecnici a tutti gli effetti), strappare un ingaggio, mantenere la forma non sono tutte uguali. C’è la vecchia gloria allontanata dal grande calcio per raggiunti limiti di età, l’attaccante fatto fuori per presunti problemi caratteriali, il terzino licenziato dalla quarta serie in bilico tra l’abbandono definitivo dell’attività e la paura. Dividono la stanza, ringraziano l’Associazione calciatori che dal 1987 organizza quest’arca della disperazione pallonara per non dimenticare i meno fortunati, pagano l’irrisoria cifra di duecento euro per conservare la fede e mettere un piede nel futuro. Ai nipoti, un giorno, racconteranno di aver trascorso un’estate lontana con Roberto Baggio. Il neoresponsabile del settore tecnico della Figc, capelli bianchi e rigore monastico ha affrontato il periodo di prova insieme a loro. Senza sconti. Solo qualche permesso estemporaneo e un lampo negli occhi che mentre è a bordo campo, con il sudore e il fiatone, ricorda ciò che è stato. Baggio ha trovato lavoro. Nessuno di loro, a pochi giorni dal termine del ritiro, può dire lo stesso. Due allenamenti al dì, tre lezioni teoriche, l’ultima dopo cena. Intensità, solidarietà e volti stanchi, che alle 23, come in caserma, chiedono solo il sollievo del letto.
Claudio Grauso, 31 anni,
ultimo club: Mantova
GIOCAVA a Mantova, nella squadra di Fabrizio Lori, ex stella del firmamento imprenditoriale diventato meteora nel breve giro di un anno. Correva, sbuffava, sperava in un finale diverso, Claudio Grauso detto “ciccio”, prezioso taglialegna tra le linee. Ora, deforestato il bosco e smarriti gli stipendi degli ultimi nove mesi: “Lori ha seri guai con la giustizia, il Mantova è fallito e credo che quel denaro, non lo rivedrò più”, Grauso è disoccupato. Ex giocatore del Livorno di Lucarelli, Claudio vive con il telefono perennemente acceso. Tecnicamente, Grauso è disoccupato. Con oltre sessantacolleghi,pregalaicamente.Solol’anno scorso, ricorda: “Guardavamo sorridendo il giornale dell’associazione calciatori in ritiro. Nelle prime pagine, le foto dei nostri colleghi senza squadra. Ironizzavamo: ‘Guarda, quello lo conosco, chi avrebbemaipensatochesipotesse
ridurre così?’. Ora, in quelle
istantanee,cisonoio.Erocerto
non mi sarebbe mai capitato”.
Direttori sportivi e procuratori annusano il dolore. Avvertono l’occasione. Giocano al ribasso. Vendere, comprare, ricattare sottilmente anche. Grauso ha gli occhi mesti. Un paio di richieste dall’ex serie C, qualche accenno dalla B, niente di concreto: “Sanno che abbiamo bisogno di esserci e propongono ipotesi insultanti. Se non accetti, qualcuno che prenda il tuo posto a quelle condizioni, si farà vivo comunque. I primi giorni sono stati durissimi, anche a livello psicologico. L’organizzazione è eccellente e i tecnici che ci seguono, fraterni , però è la testa a dover reagire e se nessuno ti cerca, lentamente inizi a convincerti che forse, sia giusto così. Ora mi sento meglio. Mi impegno, ma cosa succederà a settembre, davvero non riesco a immaginarlo”.
Christian Riganò, 36 anni,
ultimo club Cremonese
“MI GUARDI con attenzione,lesembroun grassone che non ce la fa più?”. Davanti a un caffe, la barba di Christian Riganò da Lipari, ex attaccante della Fiorentina e del Messina, non ammette repliche.A36anni,èfermodadodicimesi. Dei suoi gol da autodidatta partito dalle retrovie, non sembra aver bisogno più nessuno. A Cremona, dove aveva recitato da comparsa nel 2009, nessuno ha mosso un dito per trattenerlo. Lui è incazzato nero: “E’ un brutto mondo, il nostro.Lagentedimentica,diffondeveleni, affibbia etichette e distrugge le reputazioni senza preoccuparsi di verificare la realtà delle cose”. Riganò dice di sentirsi ancora un calciatore e sostiene: “Sono pronto a prendermi ancora qualche rivincita.Proviatrovarlounocomeme,capace di partire dalla terza categoria e di arrivare in serie A. Io ce l’ho fatta perché ho le palle e dimostrerò di averle anche questa volta”. Ce l’ha con tutti, procura-tori, ex compagni poco solidali, presidentipavidichealmomentoadatto,sisono sfilati dalle promesse elargite. “Farò ricredere tutti”. Mentre corre, la maglietta rossa si macchia. Diventa scura come in un giorno di pioggia. Il sole batte in area di rigore. Sulla sua ostinazione, sulla forma da ritrovare, sui sogni perduti che non affronteranno più il percorso inverso: “Passa ‘sta palla, Madonna, passa ‘sta palla”. Riganò urla, impreca, ‘sfancula. Non si vergogna di niente, neanche di chiedere un posto di lavoro a chi alla sola ipotesi, sorride.
Antonio Chimenti, 40 anni:
ultimo club: Juventus
LO CHIAMAVANO
zucchina. Per i capelli persi troppo in fretta e quell’ovalelucido,che dagli spalti, tra un rigoreparatoeunerrorein altalena costante, non potevi non notare. In serie A lo ha congedato Antonio Cassano. Un tiro da 40 metri, in primavera, a Genova. E Chimenti che vola indietro, goffamente,inseguendogliannieiriflessi. Ora Zucchina è qui. Para con i disoccupati, pensando alla vita che verrà, da allenatore, i guanti in un angolo. Nel torneo senza spettatori organizzato all’uopo, si sbraccia come se si trovasse in Champions League. Quando blocca un tiro di Riganò da due metri, viene aggredito verbalmente dal siciliano: “Antò, sei proprio una testa di cazzo, se mi facevi fare gol ti compravo una stecca di sigarette”.Affetto.Siabbracciano,fingonodi picchiarsi, rotolano nell’erba. Bambini, finalmente.
Simone Bonomi, 29 anni,
ultimo club: Perugia
TRAVOLTO da un insolito destino, senza neanche l’azzurrissimo mare di agosto. Simone Bonomi, presenze in serie A con Chievo e Bari, una volta fallito il Perugia si è trovato senza fissa dimora. “Se me lo avessero detto due anni fa, li avrei presi per pazzi”. Terzino sinistro, Bonomi non è Facchetti, non somiglia a Cabrini ma non ha neanche 30 anni. “In serie C gli stipendi tardano ad arrivare e i presidenti promettono senza mantenere. In questo mese ho capito molte cose, anche sulla solidarietà reciproca”. A Coverciano, il sottinteso, l’ha trovata. Il prossimo passo è una squadra: “Nord, sud, non fa differenza. Mi basterebbe uno straccio di programma, un barlume di serietà, ma in un Paese di disoccupati veri, il rischio forte è quello di essere catalogati come privilegiati e poi, in un attimo, dimenticati per sempre”.
Massimo Brambilla, 37 anni,
ultimo club: Pergocrema
LO SGUARDO
dell’ex campione europeo dell’Under 21 Massimo Brambilla è traipochianontradire preoccupazioni. Per lui Coverciano, significa soprattutto una patente da allenatore. Di disegnare ancora ordinate geometrie, Brambilla ha relativa voglia. “L’ho fatto nel Cagliari di Zola, nel Torino, nel Siena. Ma in serie C, è tutto più difficile e per giocatori tecnici come me, lo spazio è poco e spesso inutile.L’ultima stagione, con il Pergocrema, è stata un’agonia . In certe mischie, meglio il fisico dell’intelligenza”. Parla già da tecnico, Brambilla e racconta senza rimpianti i lampi di un percorso privo di lacrime: “Mi sono divertito. Sempre. Anche nell’ultimo mese . Abbiamo viaggiato in Olanda. Un torneo con tutti i senza squadra d’Europa. Spagnoli, sloveni, serbi. Siamo arrivati terzi, ma l’esperienza umana, ha rappresentato più di un Mondiale”.
Luca Galuppi, 30 anni,
ultimo club: Isola Liri
I FIGLI di Luca Galuppi, guardano il padre dal basso in alto. Lui è un centrocampista di retroguardia, quarta serie, basso Lazio. “I bambini mi chiedono quando tornerò finalmente a casa, io non so cosa rispondergli”. E’ domenica, giornodifesta.Losonovenutiatrovareconla madre, una bella donna con il vestito verde che dietro la gentilezza, non riesce a dissimulare la malinconia. Sguardi complici, incoraggiamenti: “Allora Luca, ti manchiamo?”. Assensi. E poi monete per aria e giochi infantili nel parco di Coverciano: “Il primo che vede un pesce rosso nella fontana, bimbi, vince un gelato”. Il solebrucia,sialternaallenuvolemaabrillareèilritmodellapreoccupazione,l’ombradellatristezza.“Mitrovosenzalavoro, non so se lo riacciufferò e francamente, nonhoideadidovesbatterelatesta”.Nell’ex serie C2, i guadagni sono minimi. “Guadagniamo come gli operai e le squadre ricevono incentivi dalla Lega, solo se in campo vanno gli under 20. Poi c’è l’influenza dei grandi club che prestano i loro giovani talenti e gente come noi, a 30 anni, è già considerata vecchia. Buona a nulla.Inutile”.Galuppièunfasciodiamarezze: “ Se provi a combattere, i dirigenti non faticano a ricordarti le regole di base”. Postulati economici, crude realtà. Galuppi sostiene di essere pronto a declassarsi ulteriormente: “Scenderei anche in Interregionale, pur di non smettere”. La prole lo guarda dubbiosa e non è chiarissimo tra loro, chi si senta davvero piccolo,chigrande,chisoltantofuoriposto.
Fabio Gatti, 28 anni,
ultimo club :Vicenza
ERALUIlascoperta.Il prodigio, il nuovo Tardelli del calcio italiano. Tra una videocassetta iraniana e una ecuadoregna, lo scoprì Luciano Gaucci. La maglia della Nazionale, i progetti senza confini, l’ironia che gli fece scegliere, in omaggio alcognome,lamaglianumero44.PoiNapoli, Modena, ancora Perugia, Vicenza. Ora, in fila per tre, c’è lui. Senza resti, spiegazioni, consuntivi possibili. Le gote rosse, la precarietà con vista sull’ignoto. Fabio Gatti, nato nell’82 e scomparso nelle nebbie fitte del centrocampo. Un paio di stagioni sbagliate, il passo che non segue più il pensiero e a 28 anni, dopo aver visto danzare procuratori e incantatori di serpenti, la marginalità è un frammento di reale.
Alberto Rebecca, 25 anni,
ultimo club: Carpenedolo
LA BARBA LUNGA, gli occhi azzurri, l’ovale stravolto, la timidezza e le aspettative che si confondono inuntramontoprematuro. Alberto Rebecca daMontebelluna(medesiminatalidiAldo Serena) ha 25 anni. L’anno scorso trottava in Bulgaria, al Botev Plodviv, frontiera estrema solcata dopo aver intuito che il calcio italiano, poteva tranquillamente fare a meno di lui. A febbraio lo chiama il Carpenedolo, nella vecchia serie C2, dove lo stadio si chiama Mundial ‘82 ma contiene 3.000 persone e gli avversari hanno il fascino di Montichiari e Feralpì Salò. A fine stagione, lo hanno lasciato andare e così Rebecca si è trovato a Coverciano. Riserva, anche nella partitelle. Serio, pudìco, un po’ dimesso. “Anche se non dovesse cercarmi nessuno, non mi ucciderei. Ho sempre considerato il calcio nella suagiustadimensione.Ungioco.Lamia famiglia non ha mai avuto problemi economici, ma se da settembre dovessi cominciare un altro lavoro, affronterei laquestioneatestaalta.InserieCgirano troppi interessi malati. Rapporti di piccolo potere, favoritismi intollerabili. A Carpenedolo erano titolari solo quelli chedovevanogiocareperforza,icalciatori che garantivano alle società un ritorno economico. Nessuno mi ha detto nullaeiononhomaialzatolavoce.Non sono il tipo, questione di carattere”.
Alex Calderoni, 34 anni,
ultimo club: Triestina
“E’CAMBIATOtutto in due minuti”, sussurra a bordo campo, con le braccia tatuate, le mani che cercano il niente e lo sguardo dritto su una siepe, l’ex portiere della Triestina, precipitato in terza serie, dopo lo spareggio per non morire con il Padova. E’ andata male, e Alex che qualche anno fa, a Bergamo, conDelioRossifuilmigliorportieredella Serie A, si è ritrovato a spasso. Da Torino, a gennaio, era fuggito inseguito dai fischi. “I tifosi ci assalirono di notte. Fu un agguato premeditato, eravamo in un locale noto solo ai dirigenti per festeggiare il compleanno di un nostro compagno. Arrivarono con le cinghie, sembravano i barbari, brutti momenti, un ambienteirrespirabileincuinonvolevo restare”. Aveva bussato il Benevento: “E sarei andato anche lì, non dubiti”. Hanno preso un altro disoccupato, Aldegani. “Sono contento per lui”. Calderoni continua a sporcare di rosso le ginocchia. “Non ho guadagnato abbastanza per potermi ritirare”. Gli altri lo chiamano. Inizia la partita. L’ultima, per adesso.