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 2010  agosto 03 Martedì calendario

Non è sufficiente vivere la vita: bisogna pensarla - Vi racconto con un nome finto una storia vera, che non è storia singola e paesana ma una parabo­la epocale

Non è sufficiente vivere la vita: bisogna pensarla - Vi racconto con un nome finto una storia vera, che non è storia singola e paesana ma una parabo­la epocale. Accade in provincia, che era il cuore antico e arretrato dell’Italia, ma ora vive le mutazio­ni in tempo reale, simultanea­mente alle metropoli; anzi è un la­boratorio a vista per le trasforma­zioni del costume. Vent’anni fa quando tornavo al paese, i miei amici al bar mi rac­contavano il pettegolezzo hard del momento: sai che Pippo Maz­zo se la fa con la moglie del capo­stazione? Ma non è un’eccezione e mi citavano subito dopo altri ca­si di sposati irrequieti che tresca­vano con le signore più mature. Dieci anni fa quando tornavo al paese i miei amici al bar mi rac­contavano che Pippo Mazzo si era separato. Ma non è un’ecce­zione, e mi citavano subito dopo svariati altri casi di quarantenni separati o in via di separazione. Gioca pure al videopoker d’azzardo, beve tanto e visita i siti porno, ma qui lo fanno in tanti. Cinque anni fa quando tornavo al paese i miei amici al bar mi rac­contavano che Pippo Mazzo era stato beccato in un locale di cop­pie scambiste e sniffava pure. Ma non è un’eccezione, a Milano ave­vano beccato altre coppie nostra­ne. Ora, tornato al paese, i miei ami­ci mi raccontano che Pippo Maz­zo ha un amante, senz’apostrofo perché maschio. Ma non è un’ec­cezione, ce ne sono tanti altri, e mi citano altri cinquantenni, separa­ti e no, con figli grandi, che se la fanno con ragazzi o vanno a trans. E cresce anche qui in paese l’uso tardivo di pasticche, erbe e cocai­na. Ammazza la provincia dal cuo­re antico e un po’ arretrato, vec­chia credenza dei nostri ricordi puerili... Ma noi siamo moderni e non condanniamo nessuno. Siamo uo­mini di mondo e ci ripetiamo col catechismo in uso che ognuno è libero di vivere la sua vita come meglio crede. O vuoi fare l’omofo­bo, il bigotto, il moralista? Nzia­mai, dicono al mio paese, contra­zione di «non sia mai». Chi è senza peccati scagli la prima pietra. E poi, perché fermare le trasgressio­ni al primo stadio o consentirle fi­no al secondo, e non ammettere anche il terzo e oltre? Perché chiu­dere un occhio allo spinello e non ad alcol e pasticche? Bastano i mo­tivi di salute per stabilire i limiti e i divieti? Cos’è quest’etica sanita­ria, ’sta morale ospedaliera... Co­nosco pure casi inversi rispetto a Pippo Mazzo: ho un amico sessan­tottino che era un tossico depres­so, gay e single libertino; alla mia età si sposò, ora spinge il carrozzi­no di suo figlio e vive appassito in adorazione di lui. Prima aveva l’oc­chio fritto, ora ha l’occhio lesso... I progressi della vita. Per carità, non voglio fare il mo­ralista né ho i titoli per farlo. Però come la chiamate questa parabo­la generazionale, arrivata pure in provincia? Evoluzione, involuzio­ne? No, implicherebbe un giudi­zio positivo o negativo. Semplice mutazione biologica? Mi dà tanto di animali. Non la chiamo e mi sbrigo. Però guardiamoci negli oc­chi e chiediamoci: ma che razza di vita stiamo vivendo? Ho capito, il mondo di ieri è finito. Ma questa variazione continua di vita, di ses­so, di affetti, cos’è, dove porta? Questa vita fondata sul cesso, pri­ma persona del verbo cessare... cessare d’essere in un modo per di­ventare un altro. Lascio il piano morale, non entro nel piano reli­gioso, mi fermo sul piano esisten­ziale. Il dogma assoluto della no­stra società è semplice e categori­co: la vita va vissuta. Ogni lasciata è persa, ogni desiderio negato è una perdita di libertà; niente e nes­suno ti ridarà o ti compenserà quel che perdi o rinunci a fare. Co­gli l’occasione, prova, divertiti. Vi­vi pienamente più vite; se non c’è l’eternità, datti alla varietà, e alla variabilità. È questo il canone uni­­versale, arrivato pure in provincia, come il digitale terrestre. Ma possi­bile che non ci sia nient’altro, nes­suna alternativa; che razza di liber­tà è questa se c’è una sola risposta in automatico e il resto è conside­rato solo regressione- repressione­restrizione? Allora provo a traccia­re una linea e a dire che accanto al dogma «la vita va vissuta» ci può essere anche un’altra scelta: la vita va dedicata. Ecco, dedicare è la pa­rola giusta. Dedico la vita a qualco­sa, a qualcuno, a qualcosa e qual­cuno insieme, a Qualcuno. Come si dice per le canzoni, questa la vo­glio dedicare a... così, una vita de­dicata a persone, a imprese, a crea­zioni, arti e mestieri, a paesi e mon­di, dedicata a valori e ricordi, al so­le e al mare, agli dei o addirittura a Dio. Non una vita dedicata a se stessa, ma a qualcosa che la riem­pia. Perché non bastano una o più vite vissute, ci manca una vita dedi­cata. Una vita senza dedica, senza dedizione, è una vita fessa, oscura, che alla fine nemmeno è vissuta, ma è quasi subìta, decisa dalle oc­casioni e dagli impulsi. Per dedi­carla devi essere convinto di una cosa: ciò che facciamo lascia co­munque un segno, non scivola e sparisce tutto, ma di tutto resta in­vece una traccia. Niente va perdu­to. Accanto agli esiti visibili ci sono pure quelli invisibili. È fesso vivere senza progettare la vita, senza ten­dere a un amore, a un disegno in­telligente. Certo, una vita dedicata può essere anche una vita vissuta. Ma in quel continuo vivere e cessa­re dov’è l’unità della persona, in quel farsi vivere dai desideri dov’è finito il cuore della vita, e l’anima, cosa resta alla fine di noi? Non di­co quando si muore, perché qual­cuno potrebbe dire chi se ne frega dopo morti; dico di noi adesso, a fine serata, quando pensiamo la vi­ta anziché viverla soltanto. Che pippo sei? Meglio dedicare la vita. Ma chi glielo dice al bar ai miei amici e a Pippo Mazzo? E come glielo dici, mancano le parole adatte a loro e al nostro tempo. A proposito, pre­vedo che con gli anni i miei amici mi diranno che Pippo Mazzo, se non diventerà nel frattempo pedo­filo, avrà una badante giovane, una slovacca molto vacca, di quel­le che fanno perdere la testa oltre che i mondiali. Quando morirà, magari d’overdose di viagra, sulla sua lapide scriveranno, perdona­temi l’epigrafe ma è la più veritie­ra: Visse a cazzo.