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 2010  agosto 03 Martedì calendario

E LUI QUERELA ORMAI SIAMO ALLE COMICHE

Gianfranco Fini ci ha que­relato. Ma querelare sen­za spiegare né motivare è un atto di spocchia e di ar­roganza che non chiarisce la vi­cenda dell’appartamento di Montecarlo. Vicenda complessa di cui oggi forniamo ulteriori par­ticolari che ne comprovano la fondatezza nei termini descritti dal nostro inviato Gian Marco Chiocci.
Riassumo. Una nobildonna la­scia in eredità ad Alleanza nazio­nale un alloggio nel Principato di Monaco affinché sia destinato a finanziare «la buona battaglia» degli ex missini. Valore dell’im­mobile: oltre 2 milioni di euro. Trascorre un po’ di tempo e si scopre che il quartierino è nella disponibilità del fratello di Elisa­betta Tulliani, compagna di Fini. Come mai? La casa è stata cedu­ta a prezzo stracciato da An a una società con sede in un cosiddet­to paradiso fiscale, e per quale tortuosa via sia finita proprio lì non si sa con precisione. Il Gior­nale denuncia il tutto con una se­rie di articoli che sollevano vari dubbi sulla liceità dell’operazio­ne. Il presidente della Camera, anziché giustificarsi, affida all’avvocato l’incarico di que­relarci. Giudichino i lettori se è que­sto il modo migliore di agire. Da no­tare che Fini, oltre a parlare ogni due minuti di moralità e legalità, si proclama difensore della libertà di stampa. Quale libertà di stampa? Quella che consente di sbertucciare i suoi avversari e soltanto quelli?
Qui non siamo di fronte a una sto­ria di letto e di corna: c’è di mezzo il patrimonio di un partito che non è proprietà privata del suo ex leader, bensì appartiene a tutti gli iscritti. L’appartamento donato dalla con­tessa Colleoni doveva essere utiliz­zato per scopi politici e non per ospi­tare il «cognato» di Fini. Sono con­cetti che il Giornale ha espresso più volte, ma vale la pena ribadirli nel momento in cui il presidente della Camera ricorre alle carte bollate per zittirci, confermando il vizietto di sentirsi un padreterno il cui nome non può essere citato se non accom­pagnato da lodi sperticate.
Ricordo, in proposito, le sue reite­rate richieste di licenziamento del sottoscritto, presentate a Silvio Ber­lusconi, solo perché, undici mesi or­sono, mi ero permesso di criticarlo e avevo annunciato quello che poi in effetti sarebbe successo. E cioè che lui, pur essendo presidente del­la Camera eletto in base a un accor­do politico col Pdl, avrebbe tradito gli impegni assunti e mostrato ostili­tà verso la linea della maggioranza e del governo. In sostanza, che avreb­be recitato due parti in commedia: quella di uomo delle istituzioni e quella di leader politico in contra­sto col proprio partito. Previsione azzeccata, di cui però non mi glorio, avendola ricavata dalla semplice os­servazione della realtà.
Ogni dichiarazione di Fini è sem­pre stata accolta dagli applausi del­la sinistra solo perché tesa a demoli­re l’esecutivo e il premier. Se un per­sonaggio di spicco della destra di­venta un’icona della sinistra o c’è qualcosa che non va in lui o c’è qual­cosa che non va nella sinistra. Alla luce degli ultimi avvenimenti com­pleto il ragionamento: non vanno né lui né la sinistra. Se Pier Luigi Ber­s­ani è costretto a usare Fini come ca­vallo di Troia, e se Fini si presta qua­l­e cavallo di Troia per conto di Bersa­ni, non erano i miei articoli del set­tembre 2009 a dover essere censura­ti, ma la politica dei sullodati signo­ri.
Nonostante ciò, il presidente del­la Camera continua a prendersela col Giornale , convinto che esso sia la causa dei propri guai. È colpa no­stra, e non sua, se si è comportato da nemico del Pdl che ha contribuito a fondare. È colpa nostra, e non sua, se un appartamento regalatogli dal­la vedova Colleoni affinché lo usas­se a favore del partito è abitato inve­ce dalla famiglia Tulliani. Attingia­mo al vocabolario di Fini per il com­mento: siamo alle comiche finali.