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 2010  agosto 03 Martedì calendario

UNA DOMANDA ANCHE SUI BENI DELLA TULLIANI

Le colpe dei padri non devo­no ricadere sui figli, come è noto. Figuriamoci se quelle delle mogli, o compagne co­me si usa dire oggi, debbano esse­re ascritte ai mariti. Ma se il mari­to è un moralista pubblico, un fu­stigatore di costumi, se per di più è anche presidente della Camera dei deputati, beh allora un po’ d’ordine andrebbe fatto anche in famiglia. È il caso, a nostro avvi­so, del presidente Gianfranco Fi­ni e della compagna, Elisabetta Tulliani. La signora, come ha do­cumentato il Giornale domenica
scorsa, è stata denunciata dal suo ex compagno, l’imprendito­re Luciano Gaucci, per appro­priazione indebita. Gaucci è sta­to inquisito, assieme ai figli Ric­cardo e Alessandro, per associa­zione a delinquere finalizzata al­la bancarotta fraudolenta. Le sue imprese infatti sono andate a gambe all’aria lasciando a secco creditori e fisco. Gaucci ha am­messo di avere intestato, poco prima di fallire e di fuggire a San­to Domingo, una ingente quanti­tà di beni immobili e mobili (ca­se, appartamenti, quadri di valo­re e auto di lusso) alla sua compa­gna di allora, l’attuale lady Fini, e ai suoi familiari proprio per sottrarli al crac e garan­tirsi una vecchiaia più agiata. Beni che ora la famiglia Tulliani (secon­do Gaucci fece semplicemente da prestanome) si rifiuta di restituire al legittimo proprietario.
Non sono un giurista, ma il sem­plice buon senso dice che quel te­soretto non solo non è più di Gauc­ci, ma eventualmente neppure dei Tulliani. Quel patrimonio an­drebbe infatti utilizzato per risarci­re, fin dove possibile, i creditori del gruppo Gaucci e il fisco italia­no. La distrazione di beni di una persona sull’orlo del fallimento e conscia di esserlo allo scopo di oc­c­ultare ricchezze è infatti un reato, e pure grave. Ora, è ovvio che sarà un tribunale (il processo è in cor­so) a stabilire se Elisabetta Tullia­ni ( all’epoca praticamente nullate­nente) fosse consapevole dei moti­vi di tanta generosità da parte del compagno, ma se per caso il presi­d­ente Fini avesse goduto anche so­lo in parte di quei beni (per esem­pio una casa) sarebbe comunque un problema etico e politico non indifferente. Può un presidente della Camera anche solo rischiare di essere coinvolto in una vicenda familiare di un eventuale concor­so in bancarotta fraudolenta, al di là del fatto che il reato sia prescrit­to, cioè di soldi sottratti a poveri cri­sti e allo Stato del quale rappresen­ta la terza carica? E a maggior ra­gione può farlo un presidente che pretende dagli altri un rigore mo­rale tale da chiedere le dimissioni da ogni carica politica di persone semplicemente indagate, cioè in assenza di sentenze non solo defi­nitive ma addirittura di primo gra­do?
Ieri Elisabetta Tulliani ha dato mandato ai suoi legali di querelar­ci. La nostra colpa? Aver pubblica­to atti giudiziari, quelli relativi alla causa che le ha intentato Gaucci. Strano, evidentemente lady Fini non la pensa come il marito, che di recente ha intrapreso feroci bat­taglie contro la legg­e sulle intercet­tazioni che limita la libertà dei gior­nali di rendere pubblici atti giudi­ziari. Prima di tutto, sostiene Fini, viene la libertà d’informazione, so­prattutto se si tratta di personaggi pubblici che non devono avere di­­ritto alla privacy. Evidentemente marito e moglie non si parlano. O forse si parlano, ma sono giunti al­la conclusione che quello che de­ve valere per gli altri non deve vale­re per loro. Se questo è il «Futuro e libertà per l’Italia» che ci aspetta, siamo messi proprio bene.