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 2010  agosto 03 Martedì calendario

INTERVISTA A RENÉE FLEMING

[moglie di Sting]
Coertona - Com’è antidiva, Renée Fleming. Seduce con una semplicità disarmante, bionda sofisticata ma con i piedi per terra, un’eleganza naturale, ironica e profonda, niente trucchi o vezzi da Primadonna. Lo è, e tanto basta. «Diva?», dice con tono divertito. «Il vero problema è trovare la giusta armonia tra gli impegni di lavoro che mi portano in giro per il mondo e la famiglia. Vorrei essere brava come Mirella Freni, in questo campo un modello insuperabile». Non è sorprendente che uno chef le abbia dedicato un sontuoso dolce di panna e cioccolato, La Diva Renée, e un floricultore giapponese un iris dalle sfumature viola.
Ha collezionato tre Grammy Award (l’Oscar della musica) questa First Lady della lirica nata in Pennsylvania da una famiglia di musicisti e indiscussa star del Metropolitan, una carriera ormai leggendaria cominciata nel segno di Mozart (Contessa nelle Nozze di Figaro, Fiordiligi in Così fan tutte, donna Elvira in Don Giovanni) e da alcuni anni proseguita in quello di Strauss (la Marescialla in Der Rosenkavalier, il suo ruolo preferito, Capriccio, Arabella, gli Ultimi Quattro Lieder), storiche performance per i reali d’Inghilterra, il presidente Obama e per l’inaugurazione delle Olimpiadi di Pechino. A Cortona, al Tuscan Sun Festival dove era già stata ospite nel 2004, si esibirà questa sera in un recital di brani di Strauss, Puccini, Verdi, Leoncavallo, Bizet con l’Orchestra del Festival Puccini diretta da Alberto Veronesi e dal già prodigioso (quindicenne!) Anthony Arcaini.
Signora Fleming, lei ha sbalordito tutti con il suo ultimo album, “Dark Hope”, in cui canta rock, jazz, pop, canzoni di Leonard Cohen e Peter Gabriel, dei Muse e di Arcade Fire. Cosa l’ha spinta a questa esperienza di crossover?
«E’ stata una sfida con me stessa, lo ammetto. Volevo mettere alla prova la flessibilità della mia voce al di fuori degli schemi della lirica. Quella del crossover è una strada che attrae molti interpreti classici per almeno due buone ragioni: affrontare linguaggi contemporanei e popolari di qualità diversi da quello classico, però significativi, e rivolgersi a un pubblico molto vasto, formato soprattutto da giovani. E, poi, un artista non deve mai rimanere prigioniero di un genere. Deve sempre rimettersi in discussione e tentare nuove esperienze».
Il suo primo amore, in fondo, è stato il jazz...
«Sì, lo amavo moltissimo. Anche mio padre, maestro di canto, amava il jazz. Quando ero ancora una studentessa all’Università di New York, avevo cominciato a cantare con un trio, ci esibivamo tutte le domeniche. Avevamo successo e pensavo di continuare. Il sassofonista Illinois Jacquet mi propose di andare in tournée con il suo gruppo. Ma, alla fine, decisi di rimanere fedele alla lirica e ai miei studi classici».
E, ovviamente, non se n’è pentita... Ammetterà, tra l’altro, che la lirica continua più che mai ad affascinare un pubblico enorme... Come lo spiega?
«E’ un linguaggio alto ma anche straordinariamente immediato, efficace, popolare. Eterno. Soprattutto le arie mantengono un potere di attrazione incredibile. Sono richiestissime. Tutti sono felici di ascoltarle, oggi come ieri, e anche la persona più comune vorrebbe cantarle. Ecco perché hanno sempre successo».
Dopo l’era dei Tre Tenori e del divismo maschile, crede che oggi sia il momento delle donne, delle Dive?
«Perché no? Sono molte le nuove protagoniste di livello. La competizione, specialmente negli Stati Uniti, è fortissima. Ma non debbono emergere soltanto per le doti canore. Oggi debbono anche essere belle, padrone della scena come vere attrici».
Lei ha cantato anche in occasioni drammatiche come il concerto a Ground Zero per ricordare le vittime dell’11 settembre con Andrea Bocelli e Andrew Lloyd Webber...
«Cantai Amazing Grace. Fu un’esperrienza drammatica. C’era una tensione molto forte, grande commozione. Vedere quella scena di rovine, i bambini, i figli delle vittime, ilpalco tra le macerie ancora fumanti... C’era da aver paura».
Un desiderio per il futuro?
«Intrattenere il mio pubblico con i concerti, farlo felice. E’ difficile desiderare di più».
Parola di antidiva.