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 2010  agosto 03 Martedì calendario

I NARCOS MESSICANI VINCONO LA GUERRA DELL’INFORMAZIONE

Il 2 marzo Rodolfo Rincon Taracena è stato ritrovato in un bidone di metallo dato a fuoco: la polizia messicana ha fatto fatica a identificare il 57enne reporter di cronaca giudiziaria rapito nel 2007 perché quel che rimaneva del corpo non era sufficiente a fare il test del Dna. Rincon Taracena è uno dei 30 giornalisti uccisi o sequestrati e spariti nel nulla dal 2006, anno in cui è stato eletto Felipe Calderon, il presidente che ha fatto della lotta ai narcotrafficanti di droga un obiettivo del suo mandato.
Due settimane fa a Nuevo Laredo, città dello stato nordorientale di Taumalipas, c’è stata una sparatoria di cinque ore tra soldati e narcos: in mezzo a suv e bus usati come barricate e arieti sono morte almeno 12 persone, alcuni incolpevoli spettatori. «Di questa storia non una singola parola è apparsa sui media locali » scrive il Washington Post: i narcotrafficanti sono riusciti a zittire gli organi di informazione del paese con una campagna di sequestri e omicidi di reporter. A Nuevo Laredo, i narcos non si sono fermati alla censura ma hanno imposto una sorta di controinformazione: il quotidiano La Tarde non ha scritto nulla sulla battaglia fantasma ma ha pubblicato le foto di quattro morti ammazzati nell’arena della città: uno aveva vicino la carcassa di un cane marrone, un altro teneva in mano un gatto bianco morto, accanto alla carneficina i cosiddetti narcomessaggi.
«Pressioni e intimidazioni hanno raggiunto livelli estremi - dice Carlos Lauria, direttore del comitato per la protezione dei giornalisti in America Latina - la guerra della droga è anche una guerra dell’informazione. I cartelli decidono cosa si può stampare e cosa no: sono le stesse organizzazioni criminali a fornire i contenuti pubblicabili. Il governo non può perdere questa battaglia, ne va della democrazia del Messico, uno dei paesi più pericolosi al mondo per chi fa il giornalista».
Il livello di infiltrazione criminale e paura è tale che un reporter messicano dichiara «siamo sotto controllo totale» solo sotto anonimato. Il reporter del
Washington Post ha potuto raccogliere testimonianze di colleghi solo in tavoli appartati di bar vuoti, lontano dalle redazioni. «I cartelli hanno occhi e orecchie anche dentro le nostre aziende» rivela un direttore senza nome.
Si sperimenta così l’assenza di notizie. «Viviamo in un mondo di dicerie » sostiene Emilio Giron Fernandez Jauregui, presidente della camera di commercio di Nuevo Laredo. Come in Iran, si cerca rifugio nel web: moglie e figlia di Fernandez hanno usato Facebook e Twitter per dare indicazioni sulle vie della città sicure e quelle in cui si rischia di finire in mezzo alle pallottole. Ma i social network non sono la soluzione: alcuni post non sono attendibili, altri peggio ancora «sembrano scritti per aumentare il panico» dice Fernandez.
Il blackout informativo risparmia ai messicani la raffica di cattive notizie: Calderon ha ammesso che l’80% dei poliziotti sono corrotti, da domenica la guardia nazionale americana pattuglia i confini Usa-Messico così come deciso dieci giorni fa dal presidente Obama.