Roberto D’Alimonte, Il Sole-24 Ore 3/8/2010;, 3 agosto 2010
IL SENATO SARÀ DELIZIA E CROCE PER BERLUSCONI - I
numeri in politica contano sempre. In questo frangente caratterizzato dalla crisi interna al Pdl a contare saranno soprattutto quelli del Senato. Infatti anche se è il numero dei finiani alla Camera ad attirare oggi l’attenzione, è al Senato che si giocherà molto probabilmente la partita decisiva. Alla Camera Berlusconi è oggi in minoranza senza i 33 deputati che hanno aderito al nuovo gruppo Futuro e libertà per l’Italia.Con certezza può contare solo su poco più di 300 deputati. La maggioranza è di 316. Al Senato però le cose non stanno così. In questo ramo del Parlamento le defezioni verso Fini sono state relativamente poche (dieci) e, quindi, Pdl e Lega potranno contare all’incirca su 160 voti. Con il sostegno di una parte dei senatori del gruppo misto (e senza contare i senatori a vita) è possibile che Berlusconi abbia la maggioranza. In breve, aldilà delle dichiarazioni di lealtà condizionata dei finiani, il governo è oggi in minoranza alla Camera e gode al massimo di una risicata maggioranza al Senato. Al confronto Prodi nel 2006 stava meglio. Con una grossa differenza, però: Prodi non poteva contare sul ritorno alle urne. Berlusconi sì.
A queste condizioni è difficile immaginare che l’esecutivo possa continuare a lungo. Sarebbe continuamente ricattato da qualunque sparuto gruppo o anche da singoli deputati e senatori come il Pallaro di prodiana memoria. Non è da Berlusconi accettare una simile situazione. Le alternative sono due. La prima –quella preferita dalle opposizioni – è la creazione di un altro governo senza Berlusconi. Qualcuno parla di larghe intese: nell’accezione comune del termine vuol dire un governo che abbia l’appoggio di tutti i maggiori partiti, quindi anche del Pdl. Ma è ragionevole che il Pdl scarichi Berlusconi? Oppure è ragionevole che Berlusconi schieri il Pdl a favore di un governo di cui lui non sia il presidente? Altri parlano di governo tecnico: con quale maggioranza? Come si è visto alla Camera i numeri sulla carta ci sarebbero. Una maggioranza che andrebbe dal Pd a Fini passando per Di Pietro e Casini. Ma al Senato no. Ecco perché il Senato per Berlusconi è importante. Ma anche ammesso che al Senato ci siano i voti per un governo tecnico è ragionevole che il presidente della Repubblica avalli una soluzione che vedrebbe la formazione di un esecutivo con una maggioranza risicata e molto eterogenea e l’esclusione dei due partiti che nel 2008 hanno vinto le elezioni? Forse chi parla di governo tecnico pensa in realtà a un governo di piccole intese che comprenda, oltre alle attuali opposizioni, anche la Lega. Magari presieduto da una figura vicina al Carroccio che garantisca l’attuazione del federalismo. Anche questa però non sembra una strada facilmente percorribile.
Resta la seconda alternativa – quella preferita da Berlusconi –: il ritorno alle urne il più presto possibile. Con questa legge elettorale il Cavaliere è convinto di poter vincere di nuovo. Alla Camera è possibile: con un voto più degli altri Pdl e Lega avrebbero – grazie al premio di maggioranza – il 54% dei seggi. In una situazione di grande frammentazione e di divisione dell’opposizione "un voto più degli altri" potrebbe voler dire anche meno del 40% dei voti validi. Nel 2008 Pdl e Lega presero il 45,8% (senza contare l’Mpa di Lombardo).Per impedire a Berlusconi di vincere con relativamente pochi voti le opposizioni si dovrebbero unire in un unico cartello. È ragionevole una coalizione che veda Pd, Idv, Udc e Fini insieme, magari anche con Vendola? E una coalizione più omogenea ma più piccola quanti voti prenderebbe?
Al Senato però la situazione è diversa. In caso di elezioni anticipate è qui che il Cavaliere rischia grosso. Come per Prodi questa camera potrebbe essere per lui una croce. Al Senato il premio di maggioranza non funziona a livello nazionale: non c’è un unico premio (come alla Camera) ma 17. Le elezioni qui sono una lotteria che può dare esiti strani: nel 2006 ha penalizzato Prodi che si è ritrovato con una maggioranza di due seggi; nel 2008 non penalizzò Berlusconi per il solo motivo che Pdl e Lega presero un sacco di voti. Solo così si può neutralizzare il meccanismo perverso dei 17 premi regionali. Questa volta però – se si tornasse a votare – è plausibile che Pdl e Lega non riescano ad ottenere gli stessi voti del 2008. Per questo è qui che potrebbe giocarsi la partita decisiva.
E decisiva lo sarebbe davvero per il Cavaliere. Dal momento della sua discesa in campo nel ’94 Berlusconi ha costruito il suo successo politico sull’unità della destra italiana. Prima e meglio dei suoi avversari aveva capito che con le nuove regole del gioco maggioritario per vincere doveva unire tutti i suoi pezzi in un’unica grande coalizione. Tra il ’94 e il 2006 questa è statala sua strategia vincente. Nel 2008 ha cambiato strada. La creazione del Pdl ha segnato il passaggio dalla grande coalizione al grande partito. Spingendo deliberatamente l’Udc fuori dall’alleanza nel 2008 ha rinunciato allora a un pezzo della destra. In questi giorni si è consumata una seconda rottura. A parte la Lega, a Berlusconi non interessa più l’alleanza con i partiti della destra. Il suo obiettivo oggi è prendersi direttamente i loro elettori. Questa è la grande sfida e ha tutto il sapore di una sfida finale. Tra lui e questo scenario c’è solo lo scoglio dello scioglimento delle Camere. È paradossale che il successo di Fini nel reclutare deputati, mettendo così il governo in minoranza alla Camera, possa dare a Berlusconi il movente per andare a elezioni anticipate. Mentre la sua maggioranza al Senato lo mette al riparo da soluzioni sgradite di un’eventuale crisi di governo. Il Senato, croce e delizia del Cavaliere.